Alice Miller, Il dramma del bambino dotato

Alice Miller, Il dramma del bambino dotato

Con la collaborazione e la supervisione scientifica dello Studio di Psicologia e Psicoterapia “La Fenice” (Circonvallazione Trionfale 145, Roma, per informazioni sulla psicoterapia a Roma).

Rubrica a cura di Sara Fabrizi

 

 

Alice Miller, Il dramma del bambino dotato

Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preso sul serio e rispettato dalla propria madre[…]. Un’immagine di Winnicott illustra benissimo la situazione: la madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova…a patto che la madre guardi davvero quell’esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie attese e paure, i progetti che imbastisce per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà sé stesso, ma le esigenze della madre. Rimarrà allora senza specchio, e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo”.

(Alice Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé, 1996, p. 37)

 

Alice Miller il dramma del bambino dotato
Alice Miller

In questa citazione si può trovare il succo delle tesi di Alice Miller (1923-2010), psicanalista per vent’anni fino al 1980, anno in cui decise di dedicarsi interamente alla saggistica e alla divulgazione dei risultati del suo lavoro, frutto di anni di esperienza diretta, ricerca e studio. Una posizione, quella della Miller, che ribaltava la prospettiva classica della psicanalisi ortodossa, tutta protesa a giustificare i genitori e a stigmatizzare il bambino “perverso polimorfo”, unico colpevole del male vissuto.

L’infanzia appare, ne Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, come l’incubatore in cui attecchiscono i germi del disagio futuro: la radice è da vedersi nel tipo di rapporto che si instaura tra il bambino e i genitori. Il bambino dotato, che cioè è l’orgoglio dei genitori e si comporta come un adulto in miniatura– è autonomo, non piange né si bagna in età precoce, bada ai fratelli più piccoli – è spesso il frutto di violenze sottili, di prevaricazioni, di maltrattamenti più o meno espliciti, che vanno dalle percosse alla violenza psicologica. Violenze taciute perché il bambino è in completa balia dei genitori, bisognoso del loro amore e pronto a idealizzarli completamente.

Quel bambino, dotato di sensibilità e ricettività estreme, risponde alle esigenze della madre e del padre, si conforma alle loro aspettative, rinunciando così ai propri bisogni fondamentali, primo tra tutti quello di essere amato per quello che è.

Alice Miller il dramma del bambino dotato
Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé

Quel bambino perde la propria integrità originaria e la possibilità di sviluppare appieno la propria personalità, andando incontro – una volta adulto – alla depressione o ad un senso di grandiosità che mascheri il proprio vuoto emotivo. Lo schema di comportamento introiettato, inoltre, lo predisporrà a ripetere i comportamenti subiti dai genitori con i propri figli.

Soltanto con loro, infatti, quello che è stato un “bambino modello” può rivalersi, assumendo una posizione di forza, in un circolo vizioso che può essere rotto soltanto attraverso un percorso di riscoperta del proprio “destino infantile”.

Non basta, secondo Miller, avere cognizione della propria vicenda e del vissuto della propria infanzia, cognizione che rimarrebbe a pure livello intellettuale e quindi superficiale; è necessario vivere i sentimenti negati come la rabbia e l’odio, quei sentimenti non tollerati o ritenuti sconvenienti dai genitori. In questo può aiutare la psicoterapia, che non ha il potere di restituire il mondo perduto dell’infanzia né può modificare ciò che è collocato nel passato, ma permette a chi vi si sottopone di arrivare ad una “comprensione emotiva” e all’elaborazione del lutto per questa irrimediabile perdita.

La psicoterapia, però, pone un ulteriore problema, trattato nel capitolo “La situazione dello psicoterapeuta”: colui che abbia intrapreso la professione del terapeuta, infatti, è stato, nella maggior parte dei casi,  egli stesso un bambino “usato” dai propri genitori per compensare le carenze affettive; proprio grazie a ciò ha sviluppato la sua peculiare sensibilità e l’empatia. È il suo vissuto particolare a renderlo adatto a svolgere la professione giacché egli è in grado di comprendere profondamente cosa significhi rinunciare al proprio Sé autentico.

Ciò, però, soltanto a patto di aver già elaborato compiutamente i propri sentimenti di rabbia, frustrazione e senso di abbandono per non rischiare di proiettarli sui propri pazienti, servendosi di loro proprio perché essi, come i bambini dai genitori, dipendono dal terapeuta.

A completare il quadro teorico delineato concorrono poi i numerosi casi riportati da Alice Miller; si tratta di esempi tratti dalla propria esperienza di terapista, dalle osservazioni del quotidiano, ma anche dallo studio delle biografie di grandi artisti come Herman Hesse, Ingmar Bergman

Un esempio tra tutti colpisce perché legato ad una situazione apparentemente pacifica ma che nasconde, secondo la studiosa, i segni del disprezzo – soprattutto se la scena viene guardata con gli occhi del bambino. Una giovane coppia cammina con il figlio di circa due anni a fianco. Entrambi i genitori hanno un ghiacciolo in mano mentre il bambino ne è privo, ma manifesta chiaramente il desiderio di averne uno per sé. La madre e il padre, a turno, si offrono di fargli assaggiare il proprio ma lui rifiuta e tende la manina verso l’oggetto del suo desiderio, che gli viene sempre sottratto. Il bambino piange disperato mentre madre e padre, pensando di tranquillizzarlo, ridono del suo atteggiamento. Di fatto i genitori deridono il suo desiderio di essere come gli altri¸ si spalleggiano a vicenda mentre il bambino è “tutto solo con il suo dolore”, si sente umiliato e disprezzato.

Una situazione banale per un adulto può diventare tragica per un bambino, un segno indelebile sulla sua psiche in formazione, un modello in grado di condizionare inconsciamente il suo futuro: questo il senso profondo del libro di Alice Miller Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé.

 

 

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.