Cura e Angoscia: Heidegger ai tempi nostri

Cura e Angoscia: Heidegger ai tempi nostri

Con la collaborazione e la supervisione scientifica del Centro di Psicologia e Psicoterapia “La Fenice”

Rubrica a cura di Sara Fabrizi

 

Cura e Angoscia: Heidegger ai tempi nostri

 

Martin Heidegger cura e angosciaComprendere Heidegger, e ancor prima leggerlo, non è impresa banale. La lingua in cui si esprime, quella della filosofia, si arricchisce di un numero enorme di nuove parole, necessarie ad esprimere concetti nuovi o comunque non approfonditi prima della scrittura di Essere e tempo (1927).

Stante la difficoltà derivata dalla traduzione, che impedisce di cogliere appieno la complessità delle sfumature semantiche di ogni termine utilizzato, le possibilità di fraintendimento sono evidenti.

Superando, tuttavia, il timore reverenziale che un simile tomo può incutere, ci si rende conto della necessità di entrarci dentro via via che si comprende come Heidegger parli fondamentalmente dell’uomo e del suo stare nel mondo.

L’oggetto del contendere è quello intorno a cui ci si è interrogati fin dagli albori della filosofia: l’essere. Heidegger, tuttavia, sostiene che la domanda sull’essere come è stata sempre posta è errata, formulata male. La domanda “Che cosa è l’essere?” prepara, nella sua stessa forma, una risposta in cui l’essere si confonde con l’ente, con l’oggetto. Sarà necessario, dunque, ripensare domande e risposte ma soprattutto individuare colui che deve rispondere alla questione: l’esserci, cioè l’uomo. Perché proprio l’uomo? Perché esso è, potremmo dire, direttamente coinvolto, non può essere indifferente alla questione sull’essere che lo costituisce pienamente e integralmente.

L’essere è un ente che io stesso via via sono, l’essere è via via il mio

L’uomo, dunque, nel suo esserci è l’interlocutore privilegiato della domanda e colui attraverso il quale si indagano le modalità dell’essere, quelli che Heidegger chiama esistenziali.

Cura e Angoscia

Le modalità passate in rassegna sono numerose ma quella su cui gravita l’attenzione, la chiave di volta dell’intero Essere e tempo, è la cura, che – con il linguaggio criptico che nel corso della lettura diviene familiare – viene definita l’essere dell’esserci, la sua componente fondamentale.

Per spiegarla in termini immediati viene recuperata una bella favola di Igino di sapore didascalico: la Cura dà forma all’uomo con del fango e Giove gli dona il soffio vitale, ma arrivati al momento di decidere che nome dare a questa creatura si scatena una lite, cui partecipa anche la Terra, rivendicando il fatto di aver anch’essa partecipato donando parte del proprio corpo (il fango) per dar vita a questo nuovo essere. Giudice equo della diatriba sarà Urano: di Giove sarà lo spirito, della Terra il corpo, ma l’esistenza intera dell’uomo sarà preda della Cura.

orologio cura e angoscia

La cura (preoccupazione e sollecitudine in senso latino), dunque, è struttura stessa dell’esistenza.

È ciò che sta sotto l’ansia di possesso, il desiderio, l’andare verso le cose e gli altri. Dice Heidegger, tuttavia, che esistono due modi di prendersi cura ed è in questa osservazione che si coglie l’importanza del messaggio del filosofo per la vita: da una parte c’è una cura che ci fa sostituire all’altro, agevolandolo di fronte alla sua difficoltà, quello che viene chiamato un saltar dentro al suo posto; dall’altra c’è una cura che, invece, è un saltar avanti, quasi un proporsi come modello, aiutando l’altro a diventare sé stesso. La prima porta, inconsapevolmente, ad una situazione di dominazione e di dipendenza, sottrae all’altro la sua stessa cura.

Significa, di fatto, impedire all’altro di prendere su di sé la responsabilità della vita: è equiparabile ad una menomazione o alla relegazione in quello che Kant definiva “stato di minorità”. Riportato ad una dimensione prosaica e quotidiana la cura inautentica è allacciare le scarpe ad un bambino ormai grande invece di insegnargli a farlo da solo o dare denaro a qualcuno che è in difficoltà economica, invece di avviarlo verso un lavoro che gli consenta di essere autonomo.

L’altro perno su cui ruota il discorso è l’angoscia, quel senso di smarrimento profondo di fronte al nulla che è un’altra caratteristica sostanziale dell’essere umano. L’angoscia ha la capacità, di fronte alla possibilità di un’esistenza inautentica, l’esistenza del “si” (“si fa”, “si dice”) neutro che sta per tutti e nessuno, di singolarizzare l’uomo. Essa mette l’uomo di fronte a sé stesso e alla realtà dell’essere-per-la-morte, di fatto lo scuote dalle radici per riportarlo a sé, alla propria identità singolare, allontanandolo dall’appiattimento della medietà.

Il problema dell’essere, visto da questa prospettiva, nulla ha di astratto. Basti pensare a come viene comunemente intesa l’angoscia: un sintomo da curare, spesso e volentieri con gli psicofarmaci – quella che potremmo pensare come cura inautentica poiché assopisce la coscienza e le sottrae lo strumento che potrebbe indurla, invece, ad una nuova consapevolezza. Piuttosto che tentare di addormentarla con metodi più o meno discutibili, ne andrebbe colto, sulla scorta della riflessione heideggeriana, il valore profondo.

Cura e angoscia, in ultima istanza, rappresentano una chiamata alla responsabilità rivolta al singolo.

 

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.