Il congresso degli Arguti: polemisti di pietra a Roma

Il congresso degli Arguti: polemisti di pietra a Roma

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Il Congresso degli Arguti: polemisti di pietra a Roma

All’epoca in cui Roma era dominata da famiglie aristocratiche dispotiche e in continua lotta tra di loro e da papi divisi tra il mecenatismo artistico e la corruzione della vita mondana, il dissenso e l’ironia nei confronti dei potenti avevano dei portavoce d’eccezione: le statue parlanti.
Chiamate anche, nel complesso, Congresso degli Arguti, proprio a causa della pungente satira di cui erano depositari, le statue parlanti sono sei statue, collocate in diverse aree di Roma e utilizzate in epoca rinascimentale per affiggere versi in latino e spesso anche in romano volti contro i rappresentati del potere costituito.

Oggi la tradizione, caduta dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia con la Breccia di Porta Pia, viene rivitalizzata dall’iniziativa dell’Associazione Cittadini Centro Storico di Roma attraverso un sito, su cui è possibile leggere, oltre ad alcuni cenni storici riguardo le statue, anche i dettagli del restauro, condotto recentemente su alcune delle statue.

Pasquino

Rinvenuto durante i lavori di scavo per la pavimentazione di Palazzo Orsini (oggi Braschi) nel 1501, venne collocato, per volere del cardinale Oliviero Carafa, proprio lì dove era sorto dal terreno, vicino Piazza Navona.

 Pasquino statua parlante del Congresso degli Arguti di Roma

Pasquino non è che parte di un gruppo scultoreo, probabilmente la copia marmorea di un originale di epoca ellenistica (III sec.), raffigurante Menelao che sorregge il corpo privo di vita di Patroclo, ucciso da Ettore, proveniente dallo stadio di Diocleziano. Questa identificazione si deve alla somiglianza tra quel che resta della statua e un gruppo presente nella Loggia dei Lanzi a Firenze, raffigurante proprio quella scena.

Il nome della statua, secondo la tradizione più diffusa, trarrebbe origine da quello di un barbiere o di un oste della zona, particolarmente noto per la sua vena polemica che questi sfogava in versi simili a quelli che ignoti autori appendevano al collo della statua. Vi sono anche altre fonti discordi che attribuiscono l’origine del nome ad un maestro di grammatica i cui studenti avrebbero notato una certa somiglianza con la statua e che sarebbe stato, per questo, la prima vittima delle salaci invettive.

Pasquino divenne ben presto quasi un’istituzione tanto che da lui presero nome i componimenti satirici noti come pasquinate. Una delle più celebri è quella dedicata a papa Urbano VIII, reo di aver fatto fondere nel 1625 le travature bronzee del Pantheon per ricavarne materiale per il Baldacchino di San Pietro e i cannoni di Castel S. Angelo.

quod non fecerunt barbari
fecerunt Barberini

cioè ciò che non è stato fatto dai barbari, noti per le razzie e per lo scarso rispetto nei confronti dell’arte e della civiltà, è stato fatto dai Barberini, famiglia di provenienza del pontefice.
Tale era il dispetto suscitato nei potenti dalle beffe loro rivolte che papa Adriano VI tentò addirittura di far gettare la statua nel Tevere e che numerosi suoi successori imposero una vigilanza costante, giorno e notte, per evitare che venissero affisse frasi ingiuriose nei loro confronti, ma ciò non bastò a mettere il bavaglio agli anonimi autori che rendevano viva questa statua.

Come scrisse Trilussa:

nun te se vede che la bocca sola
con una smorfia quasi strafottente –
Pasquino borbotta: segno evidente
che nun ho detto l’urtima parola

Marforio

Considerato il “braccio destro” di Pasquino giacché spesso le due statue sembravano intavolare discussioni su argomenti di politica e attualità, in un continuo botta e risposta, Marforio è il rappresentante meglio conservato del nostro Congresso degli Arguti.

Marforio, statua parlante del Congresso degli Arguti di Roma
Ha le fattezze di un uomo possente e barbuto ed è forse rappresentazione del dio Oceano o allegoria del fiume Tevere. Si trova, attualmente, nella corte di Palazzo Nuovo, in una delle ali dei Musei Capitolini. La sua collocazione originaria era il Foro Romano e probabilmente da qui deriva lo strano nome: si riteneva, infatti, che il tempio di Vespasiano, ove la statua venne trovata, fosse in realtà il tempio di Marte. Dalla storpiatura di “Marte in foro” sarebbe perciò derivato il nome Marforio. Ipotesi alternativa lo vorrebbe, invece, derivato dall’espressione “mare in foro” che si riferirebbe al soggetto rappresentato dalla statua.
Quando Roma venne occupata dai francesi tra 1808 e 1814 e Napoleone si dette alla razzia delle opere d’arte della città le due statue più note non poterono non commentare così le vicende contemporanee:

Marforio: “E’ vero che i Francesi sono tutti ladri?”
Pasquino: “Tutti no, Bona Parte!“

Il babuino

Collocato nell’omonima via, che proprio da lui prende il nome (chiamata precedentemente Via Paolina), il babuino o babbuino – alla romana – in verità non ha niente a che fare con una scimmia. Il volto è piuttosto quello di un sileno, una creatura mitologica, abitatrice dei boschi, affine al satiro: il nome che le è stato attribuito è dovuto alle fattezze grottesche del viso, deturpato dalle intemperie e dall’usura del tempo.

Disteso su un fianco, adorna una semplice fontana usata, nel Rinascimento, per abbeverare i cavalli.
Tanto singolare era il suo aspetto e tanto frequenti e incisivi gli attacchi di cui si faceva portatore che egli divenne presto un vero e proprio rivale di Pasquino, tanto che le sue più che pasquinate erano chiamate babuinate.

Abate Luigi

Pur rappresentando, dato l’abbigliamento caratterizzato dalla toga praetexta, un ignoto magistrato abate luigi statua parlante del congresso degli arguti romao un oratore romano, la fantasia popolare romana non poteva certo lasciare nell’anonimato un così noto rappresentante della vita pubblica: il nome di Abate Luigi gli deriverebbe dalla somiglianza con il sagrestano della vicina chiesa del Sudario.
La statua si trova addossata al muro della basilica di S. Andrea della Valle. L’aspetto più interessante della sua storia sono le vicende legate alle testa…
Sostituita per la prima volta nel 1888 con una di simile fattura e provenienza, questa venne trafugata prima nel 1966 poi di nuovo nel 1970 e l’ultima volta proprio un anno
fa, nel 2013 tanto che ancora oggi chi passa a fargli una visita nota questa evidente mancanza.
Proprio in occasione del furto del 1966 la statua parlò per l’ultima volta:

O tu che m’arubbasti la capoccia
vedi d’ariportalla immantinente
sinnò, voi vede? come fusse gnente
me manneno ar Governo. E ciò me scoccia

che tradotto per chi mastica poco il romano significherebbe: o tu che mi hai rubato la testa, vedi di riportarmela subito, altrimenti, come fosse niente, mi mandano al Governo, e non lo gradisco affatto… con evidente tono satirico nei confronti non solo del ladruncolo, ma soprattutto dei “potenti” contemporanei, in ossequio alla tradizionale irriverenza del nostro.

basamento congresso degli arguti statue parlanti

 

Il facchino

 

Situato in Via Lata, piccola traversa di Via del Corso, vicino Piazza Venezia, il facchino non è tanto facchino congresso degli arguti romauna statua quanto il mascherone di una delle tante fontanelle di Roma. In realtà quello che ci troviamo di fronte non è un facchino ma un acquarolo, armato della sua fida botticella.Quello dell’acquarolo era un mestiere umile quanto indispensabile nella Roma di fine Cinquecento, soprattutto in periodi di forte carenza idrica: egli andava ad attingere l’acqua dalle fontane pubbliche per poi rivenderla ad un prezzo molto basso, porta a porta.

Questo è il più giovane dei membri del Congresso degli Arguti, essendo databile al ‘500, anche se dubbia ne è la paternità: alcuni hanno avanzato addirittura l’ipotesi che potesse essere opera di Michelangelo, ma i più l’attribuiscono a Jacopino del Conte.

Madama Lucrezia

Arriviamo infine all’unica donna del gruppo, “sesta di cotanto senno” volendo parafrasare Dante: Madama Lucrezia. Si tratta di un enorme busto di marmo, alto circa 3 metri, posto all’angolo di Palazzetto Venezia, a pochi metri dalla fontanella rionale della Pigna in Piazza S. Marco. L’acconciatura e il panneggio, con il caratteristico nodo della veste sul petto, lascerebbero pensare ad una rappresentazione della dea Iside o di una sua adepta, forse Faustina, moglie dell’imperatore Marco Aurelio.

madama lucrezia congresso degli arguti roma
Il singolare nome le deriverebbe da un’amante del re di Napoli Alfonso V, Lucrezia d’Alagno, nota per essersi recata a Roma dal papa per chiedere un divorzio mai ottenuto. Quando nel 1457 Alfonso morì, la donna dovette allontanarsi dalla città d’origine e trasferirsi a Roma per sfuggire alla persecuzione del successore al trono napoletano, il legittimo erede Ferrante. Ella andò a vivere proprio nei pressi della zona in cui si trova la statua, che così prese il suo nome.
A Madama Lucrezia si lega un altro famosissimo monumento di Roma: il Pie’ di Marmo, sito nell’omonima via, vicino al Pantheon. Questo enorme piede, infatti, sembrerebbe appartenere proprio alla Lucrezia: dimensioni e qualità del marmo corrispondono e, inoltre, il sandalo indossato dal piede, appena visibile a causa dell’usura, sembra essere quello indossato dalle sacerdotesse di Iside. Un altro elemento a favore della teoria sta nel fatto che non lontano dal luogo in cui esso si trova sorgeva il tempio dedicato da Domiziano alla dea.

fonte

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.