Il “gioco” dell’arte – il MAAM raccontato da Giorgio De Finis
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Il “gioco” dell’arte – il MAAM raccontato da Giorgio De Finis
a cura di Sara Fabrizi
Concepire un museo di arte contemporanea dentro una ex fabbrica abbandonata e occupata: quante speranze c’erano che il MAAM “decollasse”? Ci sono stati momenti di difficoltà mentre realizzavate questo “sogno”?
Quando il MAAM è nato c’erano solo i “relitti spaziali” di Space Metropoliz, il cantiere cinematografico e d’arte che nel 2011 aveva invitato gli abitanti a costruire un razzo per andare sulla Luna e ricominciare tutto daccapo: il telescopio di Gian Maria Tosatti, i muri dipinti di Sten & Lex, Hogre e Lucamaleonte, la bandiera di Paolo Assenza. Il resto era tutto da immaginare! E sono stati bravi, artisti e abitanti, ad accogliere questa nuova proposta “fantascientifica”, portare il museo d’arte contemporanea (il punto più “alto” della città, quello affidato alle archistar) nel posto che nessuno vuole vedere, la periferia, lo slum, la polvere sotto il tappeto.
Museo dell’Altro e dell’Altrove e la Città Meticcia: come riescono a convivere queste due realtà e quali equilibri si sono instaurati tra la vita e l’arte?
L’esperienza di Space Metropoliz aveva allenato gli abitanti della ex-Fiorucci, migranti e precari
provenienti da tutto il mondo, al “gioco” dell’arte. Che però, per quel primo anno era soprattutto un gioco mentale, immaginare un futuro e immaginarlo diverso. Il MAAM, invece, nasce per costruire la Luna. Contribuire a bonificare gli spazi, riconsegnandoli a nuovi usi, per gli abitanti e la città tutta. E soprattutto farlo all’insegna della sorpresa. Questo ex salumificio abbandonato nel giro di poco più di tre anni si è trasformato in un super-oggetto di arte al cui interno si vive, si cucina, si mangia, si dorme. Un mantello di Arlecchino che avvolge e protegge gli abitanti della città meticcia.
Quale è, secondo la tua esperienza, la reazione di un artista che entra per la prima volta nel MAAM? E quella di un visitatore qualunque?
Farei una distinzione tra chi visitava il MAAM nel 2012 e chi lo scopre oggi per la prima volta. I primi artisti si sono mossi all’interno di un relitto urbano e hanno dovuto essere capaci di “vedere” il museo che ancora non c’era, al di là della provocazione e del dispositivo di relazione. Oggi è più facile, anche se il MAAM riesce a sorprendere spesso anche me.
Cosa implica essere il curatore di uno spazio come quello del MAAM?
Da una parte mi considero al timone di una nave sempre in balia della corrente, a schivare secche e a fuggire sirene… dall’altra penso e so che il MAAM è una ecosistema con le sue regole, i suoi microclimi, le sue regole di selezione naturale, dove al massimo posso svolgere il compito del giardiniere, potando qualche rampicante… innaffiando, trapiantando.
I risultati raggiunti nel corso degli anni sono come te li aspettavi? Riusciresti a tirare le somme del lavoro svolto sino ad ora?
Il dispositivo è stato pensato per portare questi risultati, ma dire che mi aspettavo di raggiungerli sarebbe mentire. Avere una “collezione” di oltre 400 opere è, in un certo senso, un miracolo, il miracolo che si riesce a fare quando si lavora tutti insieme, in maniera corale ad un progetto che ognuno sente come il proprio, e sente giusto. Dall’altra parte credo che questa nostra (astro)nave non abbia ancora messo la seconda marcia… Mi aspetto ancora grandi cose da questo “museo abitato” e da Metropoliz. E da questa nuova famiglia allargata di artisti che sta riscoperto quanto sia bello lavorare per una cattedrale (laica) del comune.
Sara Fabrizi