Intervista ad Andrea Lo Cicero: tra ricordi leggendari e l’impegno attuale per il Diritto allo Sport…

Intervista ad Andrea Lo Cicero: tra ricordi leggendari e l’impegno attuale per il Diritto allo Sport…

Intervista ad Andrea Lo Cicero: tra ricordi leggendari e l’impegno attuale per il Diritto allo Sport…

 

Non capita tutti i giorni di intervistare persone come Andrea Lo Cicero, il “Barone”, leggenda dello sport italiano. E l’intervista diventa subito una chiacchierata informale, amichevole, che ci ha arricchito molto e che ha toccato tanti aspetti sportivi e sociali. Buona lettura!…

A uno che vanta oltre 100 presenze nella Nazionale italiana e ha girato il mondo giocando a rugby, la prima cosa che viene in mente da chiedere è quale sia stata la partita più bella che ricorda. E lui risponde senza tentennamenti:

L’ultima. Italia-Irlanda, partita che chiudeva il Sei Nazioni 2013 e che ci siamo aggiudicati con il punteggio di 22-15. Forse per la prima volta nella mia carriera non mi sentivo giudicato: ero “a palla” con tutti i miei compagni. Indossavo per l’ultima volta la maglia azzurra, avevo dato tutto e tutto lo stadio lo sentivo con me… Davvero indimenticabile.

Bhè, siamo partiti dalla fine. Facciamo qualche passo indietro, agli albori della tua carriera… Cos’è la gavetta in uno sport duro come il rugby?

Non facile. Ma oggi è molto diverso rispetto al passato. Ai miei tempi si cominciava per passione, oggi quasi tutti i ragazzi che salgono di livello mirano a diventare professionisti e a essere tutelati da ottimi contratti. Il professionismo come lo conosciamo noi oggi, nel mondo dello sport, è cosa recente.

Prima ci si approcciava in modo del tutto differente. E non era facile, anche perché il sistema di insegnamento italiano non permette di studiare e giocare ad alti livelli insieme: non abbiamo le strutture, l’organizzazione, soprattutto manca la mentalità.

Nella tua carriera hai girato molto, e per un lungo periodo sei stato in Francia. Come si vivono lì lo sport, e in particolare il rugby?

E’ un altro mondo. La Francia è un paese con una cultura sportiva diversa dall’Italia. C’è una grande programmazione, anche governativa: lo sport rientra seriamente tra i programmi politici e fa parte del sistema educativo nazionale.

Mentre noi, un po’ per inerzia, viviamo del “Dio Pallone”…

Già. In Francia il rugby è sport nazionale, un po’ come vivere il calcio in Italia. Ma è diverso il tipo di approccio allo sport in generale, come dicevo.

Invece, tra le esperienze italiane, hai vissuto tre anni a L’Aquila. Una città che un po’ tutti portiamo nel cuore…

Pensa che la casa dove vivevo quando ero a L’Aquila è andata completamente distrutta durante il sisma del 2009. Probabilmente, se vivessi ancora lì, sarei morto…

Ma al di là di quel dramma, da cui peraltro gli aquilani si stanno risollevando con grande dignità, L’Aquila è una città magnifica. La qualità della vita è altissima, uno dei posti dove sono stato meglio in assoluto. È anche affascinante pensare come per tanto tempo, prima dell’autostrada, sia stata difficile da raggiungere e che tuttora, da vera città di montagna, vive dei rigori invernali.

E ora la maglia azzurra. Parlaci di cosa vuol dire, di cosa si prova a rappresentare un popolo intero.

Un’emozione unica, ma non deve diventare un’ossessione per gli sportivi di oggi. Io ho cominciato a fare sport per divertimento e per crescere umanamente, tanto è vero che ancora oggi i miei migliori amici vengono dal mondo dello sport. Infatti abbiamo vissuto insieme i primi sacrifici, abbiamo condiviso una grande passione e siamo stati educati allo stesso modo.

Oggi, chi si approccia allo sport a buoni livelli, lo fa principalmente per diventare professionista e avere contratti onerosi. Dobbiamo cambiare questa mentalità.

Già… Si ha l’idea che l’approccio delle nuove generazioni allo sport non sia più quello di una volta. Si inseguono miti, ma non si prende più il meglio del significato sociale e culturale…

Lo sport sta diventando privato in Italia? Dove sono i ragazzi che prima lo praticavano per strada?

Esatto! Vedi più giocare per strada ragazzi e bambini? Non c’è più l’immagine del quartiere che c’era prima, dove i bambini si prendevano i loro spazi e insieme giocavano. E cosa fanno ora quei ragazzi che prima praticavano sport per strada?

Forse lo sport sta diventando “privato”: si fa solo nelle strutture dove paghi una retta di iscrizione.

Già. In Italia, lo possiamo dire, manca il Diritto allo Sport: dimmi, come fai a fare sport se non puoi permetterti di iscriverti da qualche parte? Quante sono le strutture pubbliche?

Lo sport sta diventando un privilegio per pochi. E se è così, sta venendo meno una forma di educazione fondamentale per le ragazze e i ragazzi. Cosa si sostituirà allo sport?

Una brevissima battuta sulla vicenda attinente alla tua presenza nella Giunta capitolina insieme alla Sindaca Virginia Raggi. Come mai non è andata in porto?

Di fatto, ho scelto io. Nessuno mi ha cacciato e nessuno mi ha obbligato ad accettare: personalmente ho ritenuto che non ci fossero le condizioni.

Elio Tomassetti

 

Elio Tomassetti

Elio Tomassetti

Direttore della testata e giornalista dal 2010, dopo la laurea in Giurisprudenza mi sono sempre occupato di comunicazione soprattutto nei settori socio-culturali. Contatto: eliotomassetti1988@gmail.com