Intervista a Federico Cimatti, Prensa La Libertad al BetterPress Lab

Intervista a Federico Cimatti, Prensa La Libertad al BetterPress Lab

Intervista a Federico Cimatti, Prensa La Libertad al BetterPress Lab
a cura di Sara Fabrizi

Se ci si arriva per caso si potrebbe non notarlo, schiacciato tra i palazzi e con la porta chiusa, ma l’insegna non potrebbe essere più inequivocabile: laboratorio tipografico. Sono a via Eugenio Barsanti 14, al BetterPress Lab per conoscere Federico Cimatti, artista argentino arrivato a Roma per lavorare con due sue amiche, Francesca e Giulia. Quando arrivo sulla pressa da stampa le lettere inchiostrate sono sistemate per formare la frase “Io non sono Edipo”.

Federico Cimatti al BetterPress Lab Sarà Francesca a spiegarmi cosa stanno combinando in laboratorio: una risposta provocatoria a recenti articoli comparsi su “Repubblica”, in particolare uno a firma di Massimo Recalcati in cui si grida “siamo tutti Edipo” e si ripropone la tragica storia del re di Tebe. L’idea di un rapporto padre-figlio che diventa destino non piace a questi ragazzi, non se ne sentono rappresentati e di qui nasce l’idea: creare dei cartelli da portare in giro e affidare alle mani della gente comune, “anche del controsoffittaro” dice Francesca, per realizzare una serie di scatti fotografici in cui ciascuno, dopo esser stato informato del perché di questa azione, afferma la propria “identità”. Al BetterPress Lab, insomma, si creano opere d’arte lavorando con le tecniche tradizionali e artigianali di stampa, recuperando l’antico ma allo stesso tempo lanciando messaggi alla realtà contemporanea. Una cosa simile fa Federico, dall’altra parte dell’Oceano, a Buenos Aires, in una realtà sociale ben diversa.

 

intervista a Federico Cimatti al BetterPress LabQuando è nata la tua passione per la grafica e quando hai deciso di intraprendere questa strada che tipo di percorso hai compiuto?

La passione per la grafica e’ sempre stata un interesse per la produzione visiva, questo mi portò a iniziare gli studi di disegno grafico nella università di Buenos Aires. Da questo momento, da quando iniziai i miei studi cominciai anche a fare azioni in strada.
Dopo un po’ di tempo ho compreso per quale motivo mi ero dedicato a queste azioni in strada, inizialmente non lo sapevo bene, non c’era una ragione cosciente. Iniziai a lavorare in una tipografia offset, sempre durante gli anni dei miei studi, e lì conobbi un tipografo della “vecchia scuola”. Fino a quel momento non sapevo nulla di tipografia. Per me entrare in quella tipografia fu una vera rivelazione. C’erano molti macchinari e un forte odore di inchiostro, e per me fu come un mantra che mi catturò, e che allo stesso tempo rispondeva al fine pratico di riprodurre un messaggio. Non fui io cercare la passione (questo è un errore), fu la passione a trovarmi.

 

Da cosa è dipesa la decisione di rivalutare un pratica “artigianale” come quella della tipografia quando oggi la grafica è ormai completamente delegata ai computer?

Federico Cimatti al BetterPress LabPer me non è una questione di nostalgia stampare con le tecniche della tipografia tradizionale. Perché la nostalgia secondo me oggi è una strategia di marketing.È rivendicare piuttosto una emozionalità del reale.La stampa diretta permette che una persona possa avvicinarsi e guardare da vicino il colore.
Per me è come recuperare un sedimento tecnologico marginale. Il progresso tecnologico è come la tettonica a zolle quindi è lavorare con strumenti che hanno una carica simbolica perché la stampa tipografica fu la prima rivoluzione culturale; e citando la mia amica Francesca Colonia, la rivoluzione non può essere una ripetizione del passato. Se c’è qualcosa da rivendicare nella stampa tipografica è la carica simbolica che è la democratizzazione di una informazione alternativa ai mezzi comunicazione di massa di oggi. “Non e’ né per comprare qualcosa né per votare qualcuno”, da me si dice “ni compra ni vota”.

 

Tu definisci Prensa La Libertad come “braccio politico, poetico e produttivo di Federico Cimatti”: puoi spiegarci ciascuno di questi aggettivi in relazione al tuo lavoro?

Per me è principalmente importante parlare della mia storia personale. Dopo le scuole secondarie Federico Cimatti urge essere umanisentivo un grande mancanza di fiducia in me stesso. Ciò generò in me una necessità di espressione nella strada – cosa che posso comprendere oggi, dopo 8 anni di Prensa La libertad. D’altro canto io sono cresciuto in una famiglia che aveva un pensiero di destra, e quando cominciai ad avere idee propriamente mie per l’ inquietudine di aprirmi allo sconosciuto, decisi di non riproporre quel tipo di mentalità. Quando ero giovane ero molto vicino ad una organizzazione politica e dopo questa esperienza compresi che la cultura è un modo di militanza politica. Ci sono tre parole che sono molto importanti per Prensa la Libertad: lo spirituale; il politico e l’emozionale. Che mirano a poetizzare la realtà.

 

Federico Cimatti noi ci siamoChe tipo di rapporto instauri con le città in cui ti trovi ad intervenire in strada?

Quando intervengo in strada non mi aspetto un’unica risposta. Per me è come lasciare un messaggio in strada poi la persona che lo guarda vorrei che pensasse perché per me un intervento è come un accendino. Per me la strada è un posto per farsi delle domande. Gli interventi che faccio non sono in relazione tanto alla città, ad esempio il mio primo messaggio a Roma è stato “urge essere umani” e per me questa è una visione politica e internazionalista ed era un poster di risposta ad un altro poster della Destra nazionale. Mi piace conoscere la realtà sociale e politica del luogo in cui arrivo: il mio lavoro è un lavoro al 100% legato alla realtà.

 

Che differenza c’è, per te, tra l’opera inserita nel contesto urbano e l’opera in mostra in un ambiente chiuso?

Non mi piace parlare di mostra, io farò l’esposizione qui a Roma perché è un modo per conoscere nuove persone. Ma a me piace quando qualcuno decide di mettere una mia opera nella sua casa perché fare un’azione in strada e mettere un’opera in una casa sono due modi di abitare nel senso di occupare uno spazio. La strada è differente perché non c’è un’unica risposta mentre essere dentro una casa è un modo per abitare la vita quotidiana perché so che la persona tutti i giorni guarda questo messaggio e questo è un modo per intervenire nella vita quotidiana, per interferire.

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.