Questioni di affinità s-elettive: grandi pittori italiani del Novecento

Questioni di affinità s-elettive: grandi pittori italiani del Novecento

Questioni di affinità s-elettive: grandi pittori italiani del Novecento

Dal 17 dicembre 2015 al 13 marzo 2016 Zètema organizza presso la Galleria d’Arte Moderna la mostra “Affinità elettive” da De Chirico a Burri, in collaborazione con la Fondazione Magnani Rocca.

Questioni di affinità s-elettive: grandi pittori italiani del Novecento

Primo piano. La mostra si apre con un olio su tela: “Enigma della partenza”. Giorgio de Chirico, pittore di fama internazionale, ama accostare il presente al passato, il classicismo al moderno, la fermezza alla mobilità, i giochi di luci ai giochi di ombre. Ci fa entrare in uno spazio metafisico, misterioso in cui gli oggetti prendono vita, si raccontano ma non si svelano. Ci costringe a scrutarli, ma non ci dà risposte. Ed il classicismo di De Chirico si  ritrova nei busti di D’Antino e Colla, che seppur d’ispirazione quattrocentesca, si rifanno a tradizioni più arcaiche. La metafisica pittorica si ritrova anche sui diversi oli su tela degli anni trenta e quaranta, tutti sospesi tra sogno e realtà, in una nudità umana ripetuta che ci fa entrare direttamente nell’altra sala, con uno spoglio ed onirico Pan di De Pisis. I colori si accostano sulla tela indefiniti e trovano un’astratta coerenza nel loro essere sospesi ma formati, come per il “Lungosenna Autunnale” o per “Scherzo” di Cipriano Efisio Oppo. Sulla parete opposta, il tema del mare viene affidato a diversi artisti (Carrà, Pasquarosa, Tozzi e Morino) tutti ispirati da De Chirico, immettono nelle loro opere enigmaticità, ponendo il visitatore nel mezzo di paesaggi marini immobili, ma con elementi di disturbo visivo in primo piano.

Questioni di affinità s-elettive:  grandi pittori italiani del Novecento

Al secondo piano troviamo diverse nature morte. Giorgio Morandi ci lascia intravedere la “vita silente degli oggetti”, di quegli oggetti casalinghi ed usuali (bottiglie, vasi, ciotole, recipienti, caraffe e caffettiere) che lo hanno reso famoso. Gli oggetti sembrano prendere nuova vita nel quadro. Pochi colori e tanta luce, con un accostamento sequenziale di dipinti culminante in una scala di grigi, intrecciati nella parete opposta a diverse nature morte della Galleria. Sicuramente da menzionare Alabastro di Francalancia (primordiale olio su compensato che sembra avere affinità con il più tardo Matisse degli anni quaranta) ed Afro con un olio su multistrato: una still-life nel cui fondo si intravede il gioco del quadro con figura umana nel quadro. Questa sala è sicuramente la più esplicativa. Narra la tendenza che imperverserà per l’intera metà del ventesimo secolo di concentrare lo sforzo pittorico sull’oggetto e non sul soggetto.

Come ogni artista Morandi ci sorprende con un “Autoritratto” del 1925. Lui con tavolozza e pennello, si ritrae in un gioco di colori affini che riprende il suo stile semplice, ma d’effetto.

Ed ora entriamo nel vivo della mostra, con una sala dedicata ad uno dei firmatari del Manifesto Futurista: Gino Severini. L’artista lavora con diversi materiali. “La Danzatrice” è sicuramente una delle sperimentazioni più riuscite: un olio su cartone con elementi mobili e spaghi, messo in corrispondenza con un quadro pienamente futurista di Benedetta Cappa, moglie di Marinetti, scintilla di un  ancora effimero femminismo italiano. Anche il mosaico “Composizione”, presentato per la prima volta su di piano obliquo e non a parete, ci parla di sperimentazione, di qualcosa di antico che viene riportato in auge, con strambi accostamenti di oggetti ed animali. E per finire le sue nature morte accostate al quadro “L’angelo rapitore”, un enorme olio su tela che raffigura la morte dell’ultimo figlio di Severini. Questo gioco di quadri ci pone davanti al concetto astratto e penetrante degli oggetti inanimati, che ricade anche sugli uomini. Un quadro di forte introspezione, ove si vede la materialità degli oggetti, probabilmente ricordi nella parte bassa e lo spiccare di una croce che accompagna un piccolo fanciullo in braccio ad un angelo. I colori più chiari al centro della tela e più scuri esternamente formano un triangolo con forte valenza spirituale.

Al terzo piano troviamo una delle sale più riuscite. Non solo per l’accostamento delle due sculture del Manzù, ma anche per la grande parete rossa che accoglie un dipinto di Mattioli (“Nudo Coricato”) in affinità con due sculture: quella sulla destra in terracotta, “Frammento” di Marini, che riprende i colori del quadro e quella a sinistra di Tommaso Bertolino che ne riprende la posizione diametralmente opposta: il tutto racchiuso in un trittico dialogo immaginario.

Questioni di affinità s-elettive:  grandi pittori italiani del Novecento
Manzù, San Giorgio

E di forte impatto anche l’affiancamento dei quadri di Francesco Trombadori e Nicolas de Staël, che ritraggono sequenzialmente scorci di Roma e Parigi donando allo spettatore la sensazione di un immaginario tuffo al cuore, in bagno di colore che va dall’azzurro, al bianco opaco, al grigio e nero. Nell’altra parte troneggiano le immancabili nature morte, che arrivano a tratti surrealistici ed onirici con la “Natura Morta con Pesci” di Dova fino ad uno schematico e stilizzato Turcato che simboleggia il dramma della guerra in forme geometriche statiche e colori ridotti in “Rovine di Varsavia”.

Ed è nella prossima sala che abbiamo l’unica opera di Burri, “Sacco”. Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e si sente la voglia di sperimentare, di nuovo: togliersi il fardello dei grandi conflitti mondiali, che comunque hanno lasciato delle grosse ferite negli animi di chi le ha vissute. Così grandi che, per quanto si voglia discostare questo artista dalla ricerca di un nesso tra l’uso di materie logore e colori forti, si sente l’esigenza di interpretare nelle sue opere ad un vacuo senso di deterioramento, una visione pessimistica ed essenzialistica della vita. Non ci sono soggetti, ma solo materia e colore. Le affinità di questa sala sono molteplici. In primis l’affinità elettiva di maggior rilievo con il primo piano: Alberto Savinio, fratello di De Chirico, viene esposto alla fine della mostra insieme a Leoncillo. La cornice dai tratti baroccheggianti di “Foresta Tropicale” di Savinio, riprende le terracotte invetriate di Leoncillo, poggiate su un essenziale piano di metallo. L’uso del grès e degli smalti diviene predominante nella pittura e nella scultura degli anni quaranta e cinquanta. E così  i due gemelli “Taglio Rosso” e “San Sebastiano Nero” danno senso di disorientamento, ma ci mettono di fronte ad una modellabilità disarmante.

Sicuramente ispirato da De Chirico e da Morandi è Piero Sadun.  Le forme in “Ombre e figure n.1” riprendono i famosi manichini di De Chirico e le nature morte richiamano quella semplicità schietta di Morandi. Anche “Natura morta su colonna” e “Natura morta con limoni” sembrano rincorrersi in un gioco di colori e compattezza di pennellata che lascia interdetti, così come lascia interdetti il richiamo ad un “cubismo ridimensionato” dell’olio su tela di Scajola “Fabbriche a Pont de Neully”. Per finire entriamo in punta dei piedi verso un astrattismo dinamico con Stradone che ci porta davanti al Colosseo, facendo perdere i pensieri tra gatti e umani seduti su di una panchina, ma ci riporta al fulcro della mostra con la natura morta “Vaso con Fiori”.

L’ultima sala è dedicata a Morandi e alle sue acqueforti, a quello studio teorico che gli ha permesso di concepire l’oggetto nella sua più pura essenzialità.

 

Affinità. Questa è la parola d’ordine varcando la soglia di Via Crispi 24. Cercatele, trovate, inventatele. Il lavoro fatto dai curatori è meticoloso e pieno di forza vitale. Gli accostamenti ricercati hanno dato vita a tante sinuose strade mentali da percorrere, con un sottofondo musicale che accompagna i nostri passi nelle varie sale della Galleria.

Luigi Magnani avrebbe apprezzato questi accostamenti; questo vagare tra gli affini con un orecchio teso all’ascolto piacevole e non impegnativo musicale ed un occhio in cerca di introspezione. Un po’ come il vigile “San Giorgio” di Manzù, cosciente e presente a sé stesso e la vicina “Bambina sulla sedia”, intenta in una impegnativa ricerca del sé interiore. Si fondono così le opere della Galleria d’Arte Moderna di Roma e quelle della Fondazione Magnani Rocca di Parma: accostamenti dati dal colore, dal tema e dal percorso mentale soggettivo, in s-elettivo percorso guidato a cui non si può rinunciare in queste giornate invernali romane.

Silvia Grillo

Elio Tomassetti

Elio Tomassetti

Direttore della testata e giornalista dal 2010, dopo la laurea in Giurisprudenza mi sono sempre occupato di comunicazione soprattutto nei settori socio-culturali. Contatto: eliotomassetti1988@gmail.com