ROMAFRICA FILM FESTIVAL

ROMAFRICA FILM FESTIVAL

Roma diventa ombelico del mondo e portando avanti un’idea di multuculturalità accoglie l’Africa sostenendo il RomAfrica Film Festival, nella cornice silvestre della Casa del Cinema a Villa Borghese.

Un evento che ha richiamato a sé un numero di spettatori inaspettato per un genere cinematografico considerato di nicchia.

E invece è proprio nel cinema che l’Africa sta dando i suoi migliori frutti, negli ultimi dieci-quindici anni si è verificata un’evoluzione dal punto di vista culturale che piano piano sta modificando quella che è l’estetica del terzo cinema avvicandola sempre di più a quella occidentale.

RomafricaFilmFestivalIl cinema africano, conservando un personale modo di rappresentare se stesso, continua ad evolversi e nello sperimentare le sue capacità si apre al mondo donando tutta la sua ricchezza.

L’Africa si racconta profondamente attraverso uno strumento come il cinema e mette in evidenza le sfumature del suo continente quasi sconosciuto all’Italia.

La forza, le bellezze e le contraddzioni di un grande continente ci vengono narrate dalle opere di grandi artisti africani.

Passato, presente e Futuro di una terra  racchiusi in questo piccolo gioiellino che è stato il RomAfrica Film Festival.

La rassegna grazie al sostegno delle Ambasciate dei paesi africani, del Fespaco – il festival più importante del cinema africano – , dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Roma è stato inserito nel programma dell’Anno Europeo per lo Sviluppo.

Un’ accoglienza forse inaspettata per quel gruppo di persone che hanno ideato questo progetto, uniti dalla passione per il cinema e legati per un motivo o per l’altro a questo mondo altro che è l’Africa.

Il presidente del festival Cleophas Adrien Dioma assieme al direttore artistico Antonio Flamini, al direttore generale Domenico Petrolo e alla direzione editoriale di cui si sono occupati Gianfranco Belgrano e Massimo Zaurrini hanno formato una grande famiglia che abbraccia l’Africa e l’Italia.

Tre intense giornate di cinema, ventuno paesi rappresentati da; sette lungometraggi, 5 cortometraggi, 4 documentari  e una sezione dedicata ai videoclip e alla videoarte africana.

Tra i lungometraggi prime internazionali come Cold Harbour diretto da Carey McKenzie, un’opera contemporanea che ci presenta un’Africa diversa e ci sorprende confrontandosi con un genere come il thriller-noir, più vicino alla cinematografia occidentale che a quella africana. Esperimento riuscito che parte da uno studio della messa in scena all’europea ma forte ci appare anche la firma dell’autrice che emula la scuola americana ed europea ma se ne distacca.

Film come L’Atleta per la regia di Davey Frankel e Rasselas Lakew e Timbuktu del regista Abderrahmane Sissako hanno riempito la sala all’aperto, occupando ogni centimetro di prato disponibile. Entrambi film si sono conquistati l’attenzione dei grandi festival e la nomina come miglior film straniero agli Academy Awards. Finestre su un mondo altro ci narrano uno la vita del  maratoneta etiope Bikila che vinse le olimpiadi romane del 1960 portando lo sguardo del mondo intero sull’Africa e l’altro la storia del rapporto tra la Jihad e parte del continente nero , un film coraggioso che si pone contro ogni fondamentalismo.

La sensibilità, lo spessore e la bellezza di Frievres, film sul tema dei rapporti umani diretto dal regista franco – marocchino Hicham Ayouch, ha conquistato l’animo dell’intera sala. Film indipendente che ha avuto non poche difficoltà per la distribuzione e che ci auguriamo di poter rivedere nelle sale italiane.

La difficile realtà dell’Etiopia ci viene narrata dal regista Zeresenay Berhane Mehari che con Difret ci parla della conquista dei diritti umani da parte di quegli individui e piccole organizzazioni che hanno avuto il coraggio di porsi contro il governo per rendere la legge uguale per tutti.

Tra le sorprese del festival due diamanti rari; il cortometraggio Twaaga del regista Cédric Ido e il documentario Dignity della regista italiana Monica Mazzitelli. Il corto ambientato nella Burkina Faso degli anni ’80, segnata dalla povertà a causa delle guerre civili in atto, tra realtà e finzione, narra la storia di un bambino con la passione per i fumetti attraverso i quali cerca di apprendere il più possibile al fine di affrontare quella realtà che malgrado lui si imporrà con la sua violenza.

Con un occhio da viaggiatrice-entomologa Monica Mazzitelli mette a frutto la sua esperienza in Mozambico, presso un centro di accoglienza per ragazze orfane e in cerca di aiuto, narrandoci la storia di venti donne che hanno ritrovato se stesse e il sapore della libertà. Percorsi di vita ripresi con sensibilità e coscienza entrando con umiltà in un mondo segnato dalla violenza ma anche dalla gioia di vivere per parlarci di diritti umani.

Questa piccola grande iniziativa che speriamo si ripeterà e crescerà sempre di più è la dimostrazione che la Cultura, sinonimo di libertà; libertà del pensiero e del corpo, se veicolata nel giusto modo è sempre fonte di conoscenza – di se stessi e dell’altro – poiché vivere «In una sola città, in un solo paese, in un solo universo, vivere in un solo mondo è prigione. Conoscere una sola lingua, un solo lavoro, un solo costume, una sola civiltà conoscere, una sola logica è prigione.»( Ndjock Ngana– Poeta camerunense )

 

Silvia Petrella

 

 

Silvia Petrella

Silvia Petrella

Appassionata di arte. Laureata in lettere, con indirizzo cultura teatrale, presso l'università Aldo Moro di Bari e naturalizzata romana, dove sta proseguendo gli studi presso il DAMS con indirizzo cinema, televisione e produzione multimediale, collabora con più riviste scrivendo di cinema e teatro. Porta avanti un percorso nello yoga che è diventato una filosofia di vita all'insegna dell'equilibrio tra la mente e il corpo. "Mens sana in corpore sano"