Tra sacro e profano: i «Carmina Burana»

Analisi della sensualità nella raccolta di versi

Carmina Burana sono versi, per lo più anonimi, scritti tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo e raccolti poi nel convento di Benediktbeuern (Bura Sancti Benedicti) in Baviera. Gli autori sono quasi sempre sconosciuti, ma dai temi trattati è emerso il collegamento coi goliardi o Clerici Vagantesstudenti che, agli albori delle prime Università, vagavano tra queste per studiare, divertirsi, andar per osterie e dedicarsi a grandi bevute, donne e gioco. Con la nascita delle prime Università, prima fra tutte quella di Bologna, si forma una nuova classe sociale; gli studenti, giovani mantenuti agli studi dai genitori, interessati alla cultura e al sapere nella misura in cui dava loro modo di destreggiarsi dialetticamente e astutamente nel mondo, senza però perderci troppo tempo e fatica.

Vennero chiamati goliardi in riferimento ad un personaggio ricorrente negli scritti dell’epoca: Golias, uno screanzato dedito a vizi e piaceri, ma enormemente colto e arguto. Non si sa se sia un personaggio realmente esistito o se sia soltanto rappresentativo dello spirito di tanti come lui.

Si sa però che è esistito un ben più famoso Pietro Abelardo (ribattezzato dai goliardi Golia Abelardo) preso a modello per la sua abilità dialettica e per le sue idee, così rivoluzionarie nel Medioevo. Celeberrima è anche la relazione di Abelardo con Eloisa, di cui fu prima precettore e poi amante. Le antiche parole che raccontano la loro storia sono un capolavoro di sensualità e tenerezza, in cui si possono notare tanti temi che verranno poi ripresi nella letteratura erotica.

I goliardi vengono anche chiamati Chierici Vaganti; nel Medioevo infatti il chierico era la persona di cultura, non necessariamente legato all’ambiente ecclesiastico. Anzi, le rime goliardiche sono una gustosa satira indirizzata alla Chiesa e ad un mondo che predicava la mansuetudine. Non è quindi casuale che avessero scelto un nome che rimanda alla Chiesa, della quale miravano ad essere l’antitesi.

I goliardi non avevano certo la pretesa di insegnare o di essere d’esempio, anzi, rifuggivano ipocrisie, dottrine e moralismi, ma ogni tanto erano costretti a scrivere lunghe e rassicuranti lettere ai genitori preoccupati dei loro figlioletti lontani e talmente presi dallo studio, da non poter scrivere a casa con assiduità.

La letteratura conosce l’Archipoeta di Colonia, nome di comodo di un poeta medievale tedesco, cresciuto nell’ambiente della cancelleria di Federico Barbarossa. Probabilmente intorno al 1165 compone una decina di poesie goliardiche in latino, inserite nei Carmina Burana, fra le quali la Confessione di Golia, capolavoro della letteratura italiana medievale. Questo canto è un inno alla vita spensierata, alla satira, a Bacco, Tabacco, Venere e Decio, ma mostra anche il rovescio della medaglia: la fannullaggine, a lungo, porta ad una sorta di apatia e sfiducia, dovuta al fatto che s’è smarrito l’obiettivo di vita. Ovviamente il goliarda scaccia subito la tristezza e si avventura in cerca di nuove esperienze che lo scuotano. E quale miglior antistress che la compagnia di una dolce fanciulla?

Nei Carmina Burana dedicati a Venere e all’amore, il goliarda si rapporta con due tipi di donna: la donna angelicata, dama bellissima e impossibile che pare camminare a tre metri da terra e la pastorella, dolce, tenera e più carnale. La prima la brama, ne decanta la grazia e l’eleganza, bruciante di ardente desiderio; con la seconda varca la reggia di Venere, godendo delle sue grazie.

C’è un passo molto coinvolgente di come un ragazzo, probabilmente uno studente vagabondo, riuscito nell’impresa di rimanere solo con un bella ragazza, dopo le prime ritrosie di lei, riesce nell’impresa. Non c’è abuso né violenza, ma anzi un reale amore per la femminilità in quanto tale, che si acuisce con il godimento di lei e che lascia spazio a notevoli fantasie. Niente a che vedere con gran parte della sessualità urlata e poco poetica che ci viene propinata oggigiorno. In questi versi il rapporto tra un ipotetico goliarda e la donna, incarnazione di Venere, è quasi come un sacramento offerto alla dea della bellezza, venerata insieme a Bacco, Tabacco e Decio dai chierici; è un atto divino che si rifà ad un culto che appare più vicino alla realtà umana rispetto a quello della Chiesa, la quale invece esige dai suoi discepoli totale repressione delle proprie pulsioni. La chiesa dei Clerici Vagantes è una chiesa antitetica, che onora divinità amiche e non vendicative con atti piacevolmemte dissoluti e terreni. Nell’atto sessuale racconatato nei Carmina Burana, si mischia il gusto della trasgressione ad una sacralità nel considerare l’unione tra uomo e donna come sacerdoti di un culto che ha radici negli abissi dell’animo umano e non nell’alto dei cieli, ma non per questo meno potente o privo di estasi. Anzi, tutto il contrario.

 

 

Articolo di Daniele Morali

Avatar

Redazione Nèa Polis

Potete contattarci alla mail redazione@neapolisroma.it