Terapia di gruppo: fratelli nella cura

Terapia di gruppo: fratelli nella cura

Con la collaborazione e la supervisione scientifica del Centro di Psicologia e Psicoterapia “La Fenice”

Rubrica a cura di Sara Fabrizi

 Terapia di gruppo: fratelli nella cura

La personalità è quasi interamente il prodotto dell’interazione con altri esseri umani importanti, cosicché il bisogno di essere legato agli altri diviene necessario alla sopravvivenza ed è fonte dello sviluppo di un concetto di sé basato sulle valutazioni altrui riflesse sull’Io” [Yalom 1970]

 

La psicoterapia comunemente intesa prevede, di solito, un rapporto a due tra paziente e terapeuta che, instaurando una vera e propria alleanza (alleanza terapeutica), mirano al comune obiettivo del cambiamento, raggiungibile attraverso l’acquisizione di una superiore consapevolezza. La relazione, che si sviluppa sulla base dei modelli di attaccamento, funge da base sicura per consentire l’esplorazione di tutto ciò che il paziente da solo, sprovvisto degli strumenti necessari, non è in grado di far emergere.

psicoterapia_terapia_gruppoLa vita, però, non si esaurisce né tantomeno si sostanzia di rapporti interpersonali limitati a due soggetti: gran parte dell’esperienza umana, fisica ma soprattutto psichica, avviene in gruppo. Dal nucleo primigenio rappresentato dalla famiglia, alle relazioni amicali passando per il lavoro, l’individuo si trova a far parte di una rete complessa e la sua personalità, come sottolineato dal passo di Yalom, ne risulta plasmata. Di fronte alla complessità reale delle dinamiche entro le quali il singolo forma i propri legami, la terapia di gruppo si presenta quasi come l’evoluzione naturale della psicoterapia ad orientamento psicodinamico, un superamento della “monade meccanicistica e pulsionale”.

Il gruppo che si riunisce e comunica in modo regolare diventa un sistema microsociale, all’interno del quale si attivano i modelli operativi dei singoli individui. Da questa prospettiva del tutto peculiare la base sicura non è più rappresentata dal rapporto singolo con il terapeuta, che diviene il conduttore, ma viene costruita e alimentata dal gruppo. Si innescano così una serie di fattori di sostegno e di fattori terapeutici legati proprio alla dimensione plurale: da un lato troviamo elementi quali l’appartenenza, la coesione, la condivisione; dall’altro il rispecchiamento, la risonanza etc… ma, soprattutto, è possibile osservare una serie di dinamiche che, nella terapia individuale, non si verificano.

L’aspetto realmente interessante è che nella terapia di gruppo i singoli membri sono come fratelli, tutti posti allo stesso livello e ciò consente di lavorare non solo in verticale – come con il singolo, attraverso lo scavo in profondità -, ma in orizzontale, per rimandi e connessioni. Il contesto gruppale, dunque, diviene l’habitat naturale della riflessione giacché la presenza di una molteplicità di individui permette il dispiegarsi di un ventaglio vastissimo di rimandi e chiavi di lettura. Anthony utilizza la metafora del gruppo come sala degli specchi per evidenziare come l’individuo nel rapporto con gli altri venga posto di fronte a vari aspetti della propria immagine sociale, psicologica e fisica.

terapia di gruppo, psicoterapia

Il conduttore, di conseguenza, ha il compito di integrare le diverse forze che si attivano cioè i processi individuali, le dinamiche interpersonali e il gruppo come totalità, avendo di fronte la necessità di studiare il microcosmo-gruppo nella sua totalità significante, arrivando ad un alto livello di complessità.

Una forma del tutto particolare della terapia di gruppo è sicuramente lo psicodramma (ideato da Jacob Levy Moreno nel 1921): si tratta di un “gioco drammatico libero” in cui i soggetti coinvolti esteriorizzano, verbalizzandolo o improvvisandolo scenicamente, il proprio vissuto personale; questa tecnica consente di cambiare i ruoli e di sovvertire il punto di vista, nonché di esplorare il modo in cui si entra in contatto con gli altri. Il singolo, per mezzo dello psicodramma, può avviare il dialogo con i diversi aspetti della propria vita, i desideri, le aspettative, i dubbi all’interno di un’atmosfera rassicurante e protettiva che favorisce la spontaneità e gli permette di fare esperienza una seconda volta di vicende e vissuti.

 

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.