Uno sguardo agli Oscar 2015

Uno sguardo agli Oscar 2015

Sebbene la notizia del giorno sia la caduta di Madonna ai Brit Awards e il suo stoico rialzarsi e continuare a cantare “I’m gonna carry on” dopo essere ruzzolata per le scale alla tenera età di 56 anni, mi sembrava giusto spendere due righe anche per gli Oscar, poiché, rapida come è venuta, l’87esima edizione degli Academy è già passata, lasciando il suo carico di statuette, vere o della Lego, momenti divertenti e discorsi sentiti.

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Perché se fosse necessario ricordarlo, anche in questa occasione lo spettacolo americano ha dimostrato la sua netta superiorità quanto ad apertura mentale per il “politically correct” rispetto ai grandi eventi europei, Italia sopra tutti. Provate un attimo a mettere a confronto gli Oscar di Neil Patrick Harris e il Sanremo di Carlo Conti.

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Non saprei da dove iniziare, se da Carlo che (non) guarda con imbarazzo Conchita Wurst, o che davanti alla dea Charlize Theron le chiede se a casa tutto bene e Sean Penn dove sta; mentre dall’altra parte dell’Oceano lo stesso Penn, quando vede la troupe totalmente messicana del film di Iñárritu sul palco più seguito del mondo, esclama chi “ha dato a quei figli di… la fottura green card”; o ancora: lo stesso regista messicano che in un discorso di ringraziamento dice di indossare le mutande puzzolenti ma porta fortuna di Michael Keaton, o lo stesso conduttore che in mutande c’è proprio rimasto, riproponendo la celebre scena iniziale di Birdman.

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Riuscite a immaginare un Carlo Conti che apre anche lui Sanremo alla Broadway e anziché la famiglia con 16 figli presenta il proprio marito e saluta i figli a casa? Uno scenario apocalittico.

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Ma non voglio essere disfattista, Oscar e Sanremo sono due spettacoli totalmente diversi anche per intenti e d’altronde ogni paese ha bene diritto di esprimersi come meglio si sente. Sebbene l’immagine balenante dei personaggi nostrani che diventano improvvisamente istrionici animali da palco sia stata, nella sua irrealtà, alquanto divertente per me.

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Mi limiterò allora a parlare dei momenti più memorabili di questi Oscar appena consumati, iniziando da una breve panoramica sui trionfatori principali: Alejandro González Iñárritu è tornato a casa con le mani piene, trionfando sia nella categoria miglior film che regia per Birdman, or The unexpected virtue of ignorance, ma anche per la miglior fotografia e miglior sceneggiatura originale;

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il dolce e rachitico Eddie Redmayne di The theory of everything vince sinceramente commosso miglior attore protagonista,

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mentre Julianne Moore in Still Alice vince come miglior attrice protagonista anche se sembra più contenta perché ha sentito dire che l’Oscar è un elisir di lunga vita; J.K Simmon (Whiplash) e Patricia Arquette (Boyhood) trionfano invece nelle categorie di migliori attori non protagonisti.

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The Imitiation Game porta invece a casa il miglior adattamento cinematografico, miglior film in lingua straniera è il polacco Ida mentre Big Hero 6 è il miglior film d’animazione. Grazie all’italiana Milena Canonero un Oscar per i migliori costumi e un altro alla colonna sonora originale vanno al bellissimo Grand Budapest Hotel di Anderson; la toccante “Glory” di John Stephens e Lonnie Lynn dal film Selma trionfa come miglior canzone e fa una grande esibizione dal vivo.

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Infine, il popolarissimo Interstellar, film del secolo fino a Dicembre, porta a casi quasi come premio liquidazione solo l’Oscar ai migliori effetti speciali.

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Questi i vincitori, ma vediamo nel dettaglio alcuni dei momenti migliori: parto allora dal giovane Graham Moore, vincitore dell’Academy per la migliore sceneggiatura non originale, ma anche del discorso più commuovente della serata.

Lo sceneggiatore di The Imitation Game, la storia del geniale Alan Turing che dopo aver decriptato la macchina tedesca “Enigma” per conto del governo britannico, è dallo stesso stato accusato di omosessualità e costretto alla castrazione chimica, salvo suicidarsi un anno dopo, confessa la sua partecipazione emotiva alla vicenda che ha scritto. Più di chiunque altro Graham ha fatto sua il dramma del matematico inglese, confessando in mondo visione di aver tentato il suicidio durante l’adolescenza per il suo sentirsi “diverso” dagli altri e nonostante il disagio della sua emarginazione, è riuscito a sopravvivere a se stesso, alla sua “stranezza”. E da quel prestigioso palco lo sceneggiatore si stupisce e ringrazia di essere ancora vivo, mentre ingiustamente a Turing non è stato concesso essere se stesso. Il giovane sceneggiatore conclude ricordando a coloro che si sentono diversi di abbracciare la loro unicità, di non sentirsi inferiori:

“Stay weird, stay different. And then when it’s your turn, and you are the one standing on this stage, please pass this message.

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Un altro discorso sentito è quello del commosso J.K. Simmons come migliore attore non protagonista in Whiplash, che ha ringraziato la moglie per il suo supporto e ha rivolto un pensiero ai suoi genitori, invitando tutti coloro che ancora li hanno a sentirli più spesso.

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Un terzo discorso che ha suscitato entusiasmi è stato quello della vincitrice come migliore attrice non protagonista.

Patricia Arquette sale infatti sul palco per Boyhood, dedicando il premio alle donne statunitensi, facendo un appello per la parità dei salari.

E anche se di tutte le sottopagate del mondo, le attrici di Hollywood non sono proprio le più cenerentole, vogliamo vedere il suo come un discorso che rivendica i diritti delle donne in generale a fronte di una società fallocentrica che non dà pieno riconoscimento professionale alla donna, valorizzandola spesso solo in quanto strumento sessuale:

“A ogni donna che ha partorito ogni contribuente e cittadino di questo stato. Abbiamo combattuto per i diritti di tutti gli altri, è arrivato il nostro momento di avere la parità salariale una volta per tutte e uguali diritti per le donne negli Stati Uniti d’America”.

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Dalla platea Meryl Streep in piedi entusiasta batte le mani, personalmente ero convinta che da un momento all’altro avrebbe tirato fuori i cartelloni.

Siede accanto una principesca Jennifer Lopez, che mi sembra iniziare a gridare a ritmo di femminismo solo quando la telecamera la inquadra e lei se ne accorge: credo che fosse più impegnata a pensare a quanto il suo seno fosse il protagonista indiscusso della serata o se sarà necessario indossare anche la parte del vestito il prossimo anno, dal momento che ormai abbiamo già visto tutto.

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Alle sue spalle intanto, il discorso della Arquette è benedetto anche da Jared Cristo Leto, che resta il miglior photo bomber della serata.

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Oltre a quello di J-Lo altri look interessanti della serata sono stati quelli dell’elegante Marion Cotillard che ha vestito i panni di un appetitoso sushi e l’“emergenza Oscar” di lady Gaga, probabilmente avvisata all’ultimo dell’evento mentre lavava i piatti.

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Impeccabili i sei cambi del presentatore Neil, salvo poi restare in mutande; mentre più perplesso mi ha lasciata John Travolta con il suo abito nero e la catena intorno al collo, tanto da sembrare, appena apparso, il colletto di un parroco. Travolta si rivela subito poco casto e inizia a diventare molesto nei confronti dell’attrice sul palco con lui.

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Dopo aver citato i discutibili atteggiamenti di Travolta, mi pare doveroso ricordare anche l’unica italiana che ha portato alta la nostra bandiera al Dolby Theatre di Los Angeles: è Milena Canonero, costumista genovese, che si aggiudica un Oscar per i migliori costumi per The Grand Budapest Hotel, il film del geniale Wes Anderson.

La Canonero è una delle più importanti costumiste al mondo e ha esordito con Kubrick nel 1971 con Arancia Meccanica, proseguendo la collaborazione insieme anche nel ’75 con Barry Lyndon, suo primo premio Oscar. Nel corso della su carriera ha portato a casa altri tre Academies grazie a Momenti di gloria di Hugh Hudson nel 1982 (quando il volto di Melanie Griffith non aveva ancora le sembianze di una reazione allergica in atto e sua figlia Dakota non era ancora “sodomizzata” al cinema) e Marie Antoinette di Sofia Coppola nel 2007 (in cui tra l’altro compare lo stesso Jamie Dornan che sodomizzerà Dakota nel toccante 50 Sfumature di grigio).

E durante la cerimonia più sopra le righe che ci sia, anche un momento per guardarsi alle spalle e salutare le persone scomparse durante l’anno: una serie di brevi immagini ha infatti ricordato diversi volti scomparsi del mondo del cinema, tra cui anche Virna Lisa e Robin Williams.

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Infine, vorrei fare notare che lo sguardo da cucciolo abbandonato di Leonardo DiCaprio lo scorso anno all’udire della sconfitta, è quest’anno soppiantato solo da un altro aspirante miglior attore protagonista, Michael Keaton, che all’annuncio della vittoria del dolce Eddie Redmayne, rimette mestamente il suo discorso nel taschino.

http://www.bestmovie.it/news/oscar-2015-redmayne-vince-keaton-rimette-in-tasca-il-suo-discorso-il-video/355725/

A proposito di Leonardo DiCaprio, riflettevo su un fatto: a breve l’attore uscirà con il nuovo film di Iñárritu, The Revenant, in cui interpreterà proprio un uomo che cerca vendetta, ma tendenzialmente è difficile che un regista vinca un Oscar due anni di seguito. E non c’è nulla da fare: da quando è affondato nel gelido Atlantico nel 1998, a Leonardo non gliene va davvero bene una.

 

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Alessia Agostinelli

Alessia Agostinelli

Alessia Agostinelli

Laureata in filosofia e amante del cinema e della letteratura, sempre in giro per il mondo all'inseguimento dell'unico, grande sogno: la scrittura. Letteratura dell'800, film degli anni '90 e Filosofia di ogni tempo sono da sempre i miei compagni più fedeli.