Basquiat, il giovane re dell’arte in mostra a Roma

Basquiat, il giovane re dell’arte in mostra a Roma

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Dal 24 marzo fino al 30 luglio il Chiostro del Bramante, con la curatela di Gianni Mercurio, propone una grande mostra dedicata a Jean-Michel Basquiat, l’artista afro-americano esponente del graffitismo la cui parabola artistica si consumò in un decennio.

Basquiat Roma back of the neck

Una corona d’oro al centro di una gigantesca tela, oppure una piccola C cerchiata, il simbolo del copyright, che sbuca in un angolo nascosto della tela: Basquiat, nonostante la giovanissima età, non mancava certo di consapevolezza e personalità, stando a come rimarcava con forza nei suoi quadri la paternità dell’opera e il proprio statuto di artista. Un’arte germogliata sulla e dalla strada, cresciuta improvvisa come l’erba che si insinua tra le crepe del cemento, contro ogni logico pronostico, arrivando ad essere accolta nei salotti dell’alta società da cui Jean-Michel si sentì sempre emarginato ed escluso. Era afro-americano Basquiat, figlio di un haitiano e di una portoricana, orgoglioso portatore di una memoria culturale autentica che gli derivava dalla sua ascendenza e che informa la sua arte, piegandola verso la denuncia politica.

In origine era SAMO (Same Old shit, solita vecchia merda) insieme all’amico Al Diaz, conosciuto nella City-as-School di New York, la scuola pensata per ragazzi difficili, ma dotati di grandi potenzialità. SAMO era una figura doppia che si muoveva per la strada lasciando il proprio segno a Manhattan: scritte sui muri, giochi di parole ed enigmi, rigorosamente marcati dal simbolo del copyright. Una collaborazione durata tre anni e naufragata per “divergenze artistiche”. Basquiat scriverà sui muri nel 1980 “Samo is DEAD”: una pietra tombale che segnerà l’inizio della carriera artistica in solitaria.

basquiat yellow tar and feather

Nelle opere esposte nelle sale del Chiostro del Bramante a Roma, provenienti per la maggior parte dalla Mugrabi Collection di New York, il tema della discriminazione razziale torna insistentemente insieme all’approfondimento di una cultura sentita come intimamente propria, in un primitivismo che va ben oltre quello di tanti esponenti delle avanguardie come Picasso o Matisse che si erano limitati a recuperare le forme esteriori dell’arte africana, ad un’imitazione che non era in grado di coglierne la componente più profonda.

In mostra troviamo allora “Yellow tar and feathers” (1982), opera di grandi dimensioni che si presta ad una vasta serie di osservazioni. Innanzitutto l’abitudine di Basquiat di utilizzare materiali di scarto e recupero per realizzare le proprie opere, e nel caso specifico tavole di legno sovrapposte e fotocopie di suoi disegni incollati tra di loro, piume: materiali che richiamano la strada e che rimandano al contempo alla pratica del ready made, al riuso creativo che scolla gli oggetti dalla loro destinazione d’uso per renderli arte. C’è la corona, il suo simbolo di riconoscimento che va a segnalare la regalità dei personaggi rappresentati, la loro superiore dignità. Infine il tema di fondo, richiamato dal titolo e dai materiali: la pratica degradante riservata ai neri di ricoprirli di catrame e piume per umiliarli.

basquiat anatomyAltra costante della poetica e produzione di Jean-Michel che l’allestimento pone in luce è l’interesse quasi ossessivo per l’anatomia umana, spiegato attraverso la vicenda biografica del giovane: a soli 7 anni la strada aveva quasi ucciso Basquiat, investito da un’automobile e costretto ad una lunga degenza in ospedale dopo l’incidente, che ebbe come conseguenza l’asportazione della milza. Perché trascorresse con meno noia il periodo del ricovero, la madre gli regalò un libro di anatomia “Gray’s Anatomy”, in cui erano presenti illustrazioni estremamente dettagliate del corpo umano.

Quelle immagini colpirono la fantasia del giovanissimo artista che, nel proprio corpo, aveva subito un profondo trauma. Opere come “Bracco di ferro”,”Hand Anatomy“, “Back of the Necke la serie “Anatomy” sono il portato di questa fascinazione infantile per l’organismo, tramite attraverso il quale esprimere con forza la lacerazione esistenziale vissuta in quanto uomo di colore in una società bianca.

Una mostra in grado di far emergere, grazie ad un’attenta disposizione delle opere e ad una narrazione estesa, la personalità, le ossessioni ma soprattutto il genio del primo artista nero riconosciuto dalla storia dell’arte mondiale, il cui percorso – da lui stesso quasi profetizzato al padre con la frase “papà, un giorno io sarò famosissimo” – ha aperto la via ad una nuova epoca.

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.