La città dell’acqua

La città dell’acqua

 

La città dell’acqua: il tesoro sotterraneo di Roma

Chiunque venga a Roma per la prima volta da turista, ma anche chi cominci a visitare la propria città, fa sempre tappa a Fontana di Trevi per lanciare la canonica monetina e, chi conosce la tradizione più antica, anche per far bere dell’acqua da un bicchiere, poi infranto, al fidanzato che parte: simbolo di un futuro ritorno e quindi di fedeltà entrambi i riti.

Pochi sanno, però, che a neanche cento metri di distanza sotto i loro piedi si snoda quella che chiamano la Città dell’acqua, un itinerario che ci permette di ripercorrere la storia della zona dall’antichità fino al Medioevo, quasi seguendo il rumore dell’acqua che qui continua a scorrere.
Si tratta di una piccola area archeologica sotterranea a cui si ha accesso dal Cinema Trevi in Vicolo del Puttarello. Una scala sprofonda sottoterra e ci porta ad un’intrico di ballatoi di metallo sospesi su un’insula romana.

città dell'acqua

Ci troviamo in un luogo isolato e silenzioso, rimasto nascosto ad occhi umani per secoli, fino al 1999 quando, durante gli scavi per il restauro del cinema, vennero alla luce le alte mura di questo edificio che doveva raggiungere un’altezza di ben 11 metri e doveva occupare originariamente una superficie di circa 2000 metri quadri.
La prima fase costruttiva si fa risalire all’epoca neroniana, intorno agli anni 60 del I secolo a.C: la struttura, infatti, è un esempio della Nova Urbs, il grande progetto di ricostruzione urbanistica avviato da Nerone dopo il famoso incendio del 64 d.C., durante il quale, secondo malelingue e tradizioni piuttosto romanzate, l’imperatore si dilettava a cantare sulla cetra contemplando compiaciuto le fiamme per poi riversare la propria ira contro i cristiani.
L’occupazione di uno spazio tanto grande è giustificata dalla destinazione dell’edificio: l’insula, infatti, indica qualcosa di molto simile ai nostri condomini, una struttura abitativa con vari appartamenti disposti su più piani, spesso affitati.

Proprio come nei palazzi ottocenteschi i piani inferiori venivano considerati quelli di maggior prestigio, mentre via via che si saliva il valore diminuiva. La situazione abitativa a Roma era caotica a causa della continua immigrazione dalle campagne e dalle colonie e la costruzione delle case in altezza consentiva di guadagnare spazio, ma le conseguenze a livello di sicurezza e qualità della vita erano terribili, soprattutto perchè la speculazione era all’ordine del giorno. Basta pensare a come Giovenale, vissuto tra I e II secolo, descrive il comportamento degli affittuari:

Abitiamo in una città che si regge in gran parte su fragili puntelli.
Con questi il padrone di casa tiene in piedi le mura pericolanti.
Ricopre con della calce una vecchia crepa e ci invita a dormire
tranquilli anche sotto la minaccia di un crollo improvviso.

Fu proprio Nerone a fissare norme molto restrittive riguardo l’altezza degli edifici per evitare che si riproponesse la situazione del 64 e a disporre che ogni abitazione si dotasse di attrezzatura antincendio.

Nel IV secolo la struttura cambia i propri connotati trasformandosi in domus, ricca dimora signorile. Ma l’ironia del destino vuole che ancora una volta più che il refrigerio dell’acqua queste mura sentano il morso delle fiamme: la zona nord dell’edificio, infatti, venne colpita da un violento incendio, probabilmente legato al sacco di Roma del 455 ad opera dei Vandali, che costrinse gli abitanti ad abbandonarne il piano inferiore, sigillato con 4 metri di terra.

Una tragedia che rappresenta una fortuna per gli archeologi giacché la chiusura di una parte dell’edificio all’accesso significò il suo sottrarsi al tempo, rimanendo come cristallizzato sull’asse cronologico. Buona parte dei reperti conservati nell’attiguo museo provengono da qui. Troviamo, in una teca di vetro, un tesoretto di monete di bronzo, corrose dal tempo ma su cui ancora si riconoscono i profili delle antiche decorazioni: si tratta di monete di scarso valore, probabilmente i risparmi di un servo che dovette perdere quel poco che aveva.

Tesoretto in monete di bronzo, città dell'acqua

Altri resti interessanti sono rappresentati da un mosaico pavimentale costituito da tessere in marmo policromo di dimensioni diverse e dalle anfore perfettamente conservate, contenenti olio, e che dalla forma dovevano essere state prodotte in Africa. A testimonianza della ricchezza della decorazione della domus nella sala contigua troviamo un vero e proprio catalogo di marmi pregiati provenienti dalle più diverse aree del Mediterraneo: dalla Libia all’Egitto arrivando sino alla Grecia e alla Turchia. Tra i reperti marmorei scopriamo persino il chiusino di un tombino.

L’altra costruzione che ci troviamo di fronte, alla nostra sinistra, appartiene alla stessa epoca della prima ma risulta forse più affascinante nella sua struttura. Mentre la parte che abbiamo appena osservato rivelava chiaramente il metodo di costruzione dell’opus latericium, con i mattoni in bella vista, qui ci troviamo di fronte a qualcosa di inaspettato: due grandi ambienti comunicanti, probabilmente due stanze, sono divenuti in epoca adrianea un grande serbatoio con mura rinforzate, raddoppiate di spessore per poter resistere alla pressione dell’acqua e rese impermeabili con un rivestimento di cocciopesto, un tipo di malta che i romani chiamavano opus signinum. Le mura non sono minimamente intaccate dal calcio: ciò rafforza l’idea che questo bacino fosse il castellum acquae dell’Acqua Vergine, la migliore di Roma per la quasi totale assenza di sedimenti calcarei, la stessa che fa bella mostra di sé a Fontana di Trevi.

Arco, città dell'acqua

Soltanto alla fine del nostro percorso, giungiamo a vedere quell’acqua che ci ha guidato fin qui: scorre su un pavimento che reca ancora le tracce dell’antica decorazione, ai piedi di una scalinata che si addentra nell’edificio, lontano dalla nostra vista.

Fonte

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.