La CLASSICA CRISI

La CLASSICA CRISI

Che ci sia crisi lo sappiamo tutti, è l’argomento di conversazione più gettonato. Ma essa non dilaga solo a livello economico o morale, nel mondo degli adulti, anzi, ha investito anche coloro che il mondo devono ancora imparare ad affrontarlo: gli adolescenti, coloro che, in un’età pur così difficile e delicata, intraprendono quel percorso di studi tanto fondamentale, quale l’istruzione superiore. È un periodo di scelte, di vie intraprese per motivi più o meno validi: attitudini, pressioni della famiglia, progetti futuri, necessità, pigrizia. Cosa studiano i giovani italiani, dove decidono di crearsi una formazione, finalmente più settoriale?

Da qualche anno, assistiamo adun boom degli istituti tecnici(31%) e prefessionali  (19%) ma anche del liceo scientifico (quasi 23%) e un crollo vertiginoso del classico (6,4%).  Nel 2013, 7 ragazzi su 100 si sono iscritti al Liceo Classico: giusto giusto i 7 savi dell’antica Grecia. I dati parlano chiaro: si tende alle scuole pratiche, agli indirizzi utili, quelli che assicurano un lavoro. È nato un liceo delle scienze umane, uno musicale e 6 nuovi indirizzi per l’artistico. Negli istituti tecnici e professionali ci sono 2 settori con, rispettivamente, 11 e 6 indirizzi. Anche il liceo scientifico si è adeguato e ha aggiunto l’opzione “scienze applicate”.

Il liceo classico, così monolitico, è roba passata, decisamente obsoleta.

Che a molti ragazzi la scuola non piaccia è un fatto: è avvertita come un peso, un che di eterogeneo, quando invece non c’è nulla che gli appartenga di più. E come dar loro torto? È così che spesso viene presentata dagli insegnanti, spesso i primi disillusi, con conseguenze nefaste per studenti che sguazzano in un fango di mal celata apatia. Neppure l’entusiasmo del professor Keating che recita Byron su una cattedra, scuoterebbe gli animi di alcuni giovani, ormai. Eppure, se c’è una scuola che a mio avviso è l’humus della formazione, è proprio il liceo classico: una peculiarità del nostro sistema educativo che poteva nascere e attecchire solo nella patria dell’umanesimo e delle belle arti e ora… Cade in disgrazia.

Non parlo a suo favore perché ho studiato lì, ma ho studiato lì perché fin dall’infanzia, o quasi, ho sempre fantasticato, con i racconti di mio padre, su quello che sarei andata a studiare, su ciò che avrei appreso una volta arrivata. L’ho sempre immaginato alla stregua di un circolo tra “pochi” intimi, accolti inquel salone tanto grande e accogliente che è la conoscenza, frequentato dai più illustri letterati dell’umanità. E una volta entrata, ho trascorso interi pomeriggi in compagnia di Socrate, dell’arte della retorica, con continui inviti a conoscere me stessa; ho appreso da Seneca  i segreti di una vita tranquilla e beatae da Lucrezio quelli sulla natura; ho letto giambi di poeti senza nome del V secolo a.C, i cui versi sono suonati così familiari, da credere che qualcuno avesse rubato i miei pensieri più nascosti e li avesse messi per iscritto per mezzo di uno strano incantesimo. Ho conosciuto una civiltà cui dobbiamo tutto: i Greci, questi fragili equilibristi tra istinto e ragione, tra mito e pensiero razionale, padri del pensiero occidentale.  E ho tifato per loro, perché sconfiggessero i Persiani e la loro idea di libertà trionfasse contro il dispotismo orientale. Ho patito i dolori di Medea e l’ho vista tramutare in rabbia assassina il suo pianto, mostrandomi cosa può una donna per amore di un uomo, e cosa per odio. E ho conosciuto poi gli amori puri, veri,  anche grazie al cuore di Dante e con i suoi occhi ho attraversato  l’Inferno. Epicuro ha cercato di insegnarmi  a non temere la morte e Cicerone la vecchiaia, Callimaco ad avere coraggio nel seguire la mia strada.  Ho visto Edipo uccidere il padre e sedurre sua madre, dando vita a una sciagura familiare senza precedenti,  gettando le basi della psicanalisi moderna, diventando un po’ il riferimento di tutti “quelli strani”. Ne ho vissute di storie in quei cinque anni…

E molti le riterranno inutili, perché, ironia a parte, è questo che il liceo classico può sembrare a una lettura superficiale: un inutile sfoggio di erudizione, di quelle sterili, retoriche. Le peggiori.

Eppure quelle non erano solo storie di uomini e donne… Erano molto di più. C’era un mondo intero dietro quelle vicende concrete, reali o fantastiche che fossero.

 “E a che mi serve?” Oggettivamente tu, “quartino” che ti accingi a questo percorso, non avrai la praticità di chi ha studiato materie tecniche, né diventerai un esperto del sistema finanziario globale e neppure un grande poliglotta.

Ma se saprai ascoltare davvero, questa scuola ti darà molto più di qualche nozione, molto più di qualcosa: ti darà te stesso. Ti renderà cosciente. Aprirà la tua mente.

Sarai in grado di ragionare, spaziare, creare idee. Non parlo tanto di apertura “alle” idee, di essere più favorevoli di altri ai cambiamenti del mondo, no: questi studi ti aiuteranno ad essere tu stesso il cambiamento, perché è solo dal passato, da ciò che abbiamo lasciato a sorreggerci alle spalle, che possiamo andare avanti. E ciò che ci ha preceduto è così grande che merita di essere conosciuto e non liquidato come qualcosa di stantio e morto, perché è anzi più vivo che mai e deve riecheggiare in noi.

Chi ha tradotto il latino e il greco lo sa: soggetto, predicato, complemento. Non importa quanto lunga sarà la versione, quanto complesso il significato, quanto remota la radice del verbo e complessa la costruzione della perifrastica passiva.Soggetto, predicato, complemento. Ogni grande problema va destrutturato, vivisezionato, scomposto mattone dopo mattone, fino alle fondamenta.

Avrai un approccio critico ad ogni questione: ti farai delle domande, non accoglierai qualsiasi cosa come fatta e costituita, ti chiederai sempre il perché di ciò che leggi.

Ma per tutto questo oggi, non c’è tempo: c’è una macchina che corre più svelta di noi, e di cui siamo al contempo i manovali e i fruitori, verso un traguardo che si fa più distante e rarefatto man mano che corriamo. Eppure dobbiamo essere utili ed efficienti.

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Il futuro ci opprime: dobbiamo avere obiettivi grandi e illustri, case calde e accoglienti per mostrare a tutti cosa abbiamo e, di riflesso, cosa siamo. Che si chiami progresso o benessere , poco importa: è il denaro il fine intorno al quale il processo si sviluppa. Il rovesciamento della dialettica fine e mezzo è avvenuto: il profitto è il nuovo scopo e la nostra vita il veicolo per arrivare. E questo lo sappiamo già, lo avvertiamo nell’aria, lo viviamo quotidianamente. È la naturale e contorta conseguenza di una mentalità malsana, che pure è la culla della società. Anche la nostra educazione segue questa logica e si guarda ormai con un certo scetticismo a chi preferisce studi umanistici a quelli scientifici. Manca invece l’equilibrio, la giusta commistione di questi due tipi di studio, che non a caso sono i due tronchi della conoscenza: non possiamo correre tutti verso il futuro, la sicurezza economica, le certezze di una vita rigidamente controllata e pronosticata. Dobbiamo arrestarci un momento. Darci tempo, riflettere, riscoprire quell’otium che Virgilio tanto amava. Se non c’è più tempo per noi stessi , andiamo alla ricerca del tempo perduto e riappropriamoci proprio di noi stessi. Il problema si pose anche a Seneca, se così apostrofava  “Lucilio”: “rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro.

In un mondo, apparentemente, diverso, Erich Fromm, pubblica “Avere o Essere”: “Gli individui che fanno propria la modalità di vita dell’avere, godono della sicurezza ma sono per forza di cose insicuri. Dipendono da ciò che hanno come denaro, aspetto fisico, potere, beni, in altre parole in qualcosa che è al di fuori di loro. Ma che ne è di loro se perdono ciò che hanno? Se quindi sono ciò che ho e ciò che ho è perduto, chi sono io?”

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Gli esempi sono infiniti e potrei scrivere per ore: ci sarà sempre qualcuno che abbia espresso lo stesso malessere che ci attraversa da millenni, meglio di quanto non possiamo fare noi oggi.

Da ciò che ho scritto sul passato, che ci parla tramite quegli autori classici, sembrerà che io sia una “conservatrice”, sostenitrice di una storia antiquaria, una persona che vive nell’illusione del malinconico bel tempo che fu (e che in effetti non ha mai vissuto). Ma non è così. Credo che è nel giusto mezzo che dovremmo confidare: solo sapendo da dove veniamo possiamo arrivare da qualche parte domani, ma l’essenziale è il presente. Questo dono avvelenato, così pesante perché carico di storia, eppure al contempo così vuoto di prospettive, va visto per ciò che è: un presente che scartiamo ogni giorno, che decidiamo noi, che c’è “per” noi…

E il presente siamo noi e lo sono i giovani, così dobbiamo aver più cura della nostra educazione che, pur non plasmandola, sarà sempre la spinta propulsiva della nostra indole. Ed è quest’ultima certo che ciascuno deve seguire nella scelta della scuola, ma senza pressioni o ansie per la futura carriera.

Il classico può essere la giusta fusione di nozioni umanistiche e scientifiche, quanto al metodo di studio e analisi, un po’ come l’educazione impartita nell’antica Grecia, a quelli che furono poi, al tempo stesso, i più grandi filosofi e scienziati. E tu “quartino”, ti confronterai con questioni millenarie, molte delle quali non ancora neppure lontanamente concluse, leggerai autori che cercheranno di mostrarti un senso a un universo che forse senso non ne ha.Avrai modo di riflettere, di fermarti a pensare e formulare una tua opinione.

Così alla fine, malgrado tutte le difficoltà, la metrica mal messa, le versione non finite, i filosofi mai capiti, i professori frustrati  e quelli corrotti, quando sarai ormai più prossimo alla laurea che al diploma, avrai una tremenda nostalgia di quella scuola e non vedrai l’ora di passare il testimone, di dire a qualcuno dopo di te, cosa lo aspetta “lì sotto”, tra tutti quei libri.

Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.”  Bernardo di Chartres

Κρίσις , “crisi”, per i greci significava “scelta”: questa è un’epoca di crisi, ma è anche un’epoca di scelte. Scegliamoci.

(E chi può, scelga il liceo classico)

 

 

Alessia Agostinelli

Alessia Agostinelli

Alessia Agostinelli

Laureata in filosofia e amante del cinema e della letteratura, sempre in giro per il mondo all'inseguimento dell'unico, grande sogno: la scrittura. Letteratura dell'800, film degli anni '90 e Filosofia di ogni tempo sono da sempre i miei compagni più fedeli.