Subiaco, sotto un lago che non c’è più

Subiaco, sotto un lago che non c’è più

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Subiaco, sotto un lago che non c’è più

La chiamano “la città della Stampa e di San Benedetto”, un borgo medievale arroccato tra i monti Simbrunini, a neanche un’ora di autostrada da Roma. Ma Subiaco offre a chi la incontra, anche per lo spazio di un breve soggiorno, un’esperienza che va ben al di là delle aspettative di chi l’avvicina per la prima volta. Il percorso di scoperta comincia appena fuori dall’abitato, quando ci si incammina lungo la strada dei monasteri benedettini. La maggior parte di coloro che vanno a Subiaco usano l’automobile per raggiungere i punti di attrazione più inerpicati, ma così si privano di una parte fondamentale del viaggio, di scenari che da un finestrino non si vedono.

 

Rioni di SubiacoA piedi lo stato d’animo si trasforma. C’è la fatica, sotto il sole o la pioggia lieve d’agosto, il piede che talvolta sdrucciola sui sassi, quel bordo di roccia un po’ troppo sottile, a strapiombo su una vertigine verde, il fruscio di un lucertola tra le foglie, l’attenzione costante ai segnali lungo il percorso, quella sosta necessaria per bere. E ci si guadagna l’arrivo, come una nuova boccata d’ossigeno. Camminare è un ingrediente a cui non bisognerebbe rinunciare. Lungo la strada si incontrano per prima cosa i ruderi della villa di Nerone, una residenza estiva che in origine doveva essere lussuosissima ed è ridotta ora a qualche struttura emergente dal terreno. I marmi che ne decoravano le stanze li ritroveremo centinaia di metri più su, utilizzati per adornare i monasteri di Santa Scolastica e San Benedetto. Quei quattro ruderi sono necessari a capire il nome della città, Subiaco. Nerone, infatti, imperatore megalomane e anche piuttosto esigente, non poteva certo accontentarsi di una normale villa in mezzo ai monti. Attraverso un sistema di dighe fece deviare il corso dell’Aniene creando intorno al suo piccolo dominio tre laghi artificiali: quindi Subiaco da Sub Lacum, sotto il lago.

Villa di Nerone, Subiaco

Non molto distante dall’area archeologica si trova Santa Scolastica. Si tratta del più antico monastero benedettino al mondo, fondato proprio da Benedetto col nome di San Silvestro e destinato ad accogliere una comunità maschile. Soltanto alla morte del Santo venne ribattezzato col nome della sorella, Scolastica appunto, che però non sembra essere mai stata in questo luogo (o perlomeno non esistono fonti che lo attestino). La visita guidata è piuttosto breve, ma consente di avere accesso a tutti i punti nevralgici della struttura, cresciuta su sé stessa nel corso del tempo, tanto da fondere al proprio interno stili molto diversi, dal tardo gotico fino al neoclassico, per un arco di tempo che va dal 500 d.C fino a oltre il 1700.

Santa Scolastica vista dall'alto, Subiaco

Santa Scolastica, da brava sorella, ci apre le porte verso San Benedetto. Se gli ambienti non troppo ricchi del monastero precedente hanno comunque destato l’attenzione del “pellegrino”, quello di Benedetto può far rizzare i capelli in testa anche a chi non è credente, ma ha la sensibilità per sentirne la forte componente spirituale. Il monastero di San Benedetto, infatti, è una sorta di scrigno delle meraviglie: al suo interno nasconde e protegge il Sacro Speco, la grotta all’interno della quale San Benedetto visse in penitenza e preghiera per tre anni. Prima di arrivare al Sacro Speco, però, si devono attraversare la chiesa Superiore e quella Inferiore completamente affrescate con la storia della vita del santo, oltre che con episodi biblici ed evangelici; affreschi i cui colori risplendono nella luce che filtra dalle finestre, mirabilmente conservati. Le regole del monastero vietano di scattare fotografie all’interno (con o senza flash): un invito a rispettare il luogo sacro, ma anche a lasciarsi trasportare dall’occhio di parete in parete, in un vero e proprio rapimento estatico.

acro Speco, San Benedetto, SubiacoCome se non bastasse tutto ciò, si arriva poi alla Grotta, inglobata nelle mura del monastero: roccia scabra e frastagliata contro marmi levigati, pareti che seguono la curvatura vertiginosa della montagna, natura e mano dell’uomo che si confrontano e si esaltano in un’armonia difficile da realizzare. Nella grotta c’è una statua di san Benedetto in preghiera, un delicatissimo marmo che riproduce le fattezze del santo da giovane e sembra quasi voler sottolineare la difficoltà della scelta di vivere isolato in un luogo impervio, lontano dallo sguardo degli uomini; nel cortile interno, chiamato Cortile dei Corvi – poiché vi si allevavano corvi in ricordo dell’animale che salvò il santo, strappandogli un pane avvelenato – rivolto verso la montagna, il santo con la lunghissima barba bianca, una mano alzata contro le rupi che incombono e sembrano dover franare da un momento all’altro: FERMA O RUPE, NON MINACCIARE I FIGLI MIEI, la protezione di Benedetto per la sua comunità. Due immagini di San Benedetto poste come in dialettica tra di loro, gioventù e vecchiaia che si parlano lungo il filo di una vita completamente dedicata al rigore e all’ascesi.

laghetto di san benedettoAltrettanto attenti dovremo essere noi per raggiungere la tappa successiva, un luogo per cui vale davvero la pena immergersi in un percorso pedestre: il tempo lungo della camminata, con l’occhio attento a dove mettere i piedi, è una vera e propria preparazione. Riscendiamo verso Santa Scolastica e da lì, seguendo i cartelli, prendiamo la strada per raggiungere il laghetto di San Benedetto. Si tratta di un piccolissimo specchio d’acqua, alimentato dalle impetuose acque dell’Aniene ed è l’unico dei laghi di Nerone rimasto ad allietare il viaggiatore. Una piccola cascata dietro la quale si scorge una grotta sembra trasformare la parete di roccia in una quinta teatrale e la presenza di un enorme masso bianco proprio alla sua sinistra rende questo paesaggio inconfondibile. Il laghetto si trova all’interno di una radura, circondato dagli alberi e chiuso dalla montagna: la sensazione è quella di trovarsi in un luogo magico, il cui silenzio non dovrebbe essere in alcun modo violato.

Seguendo la via d’acqua del fiume possiamo tornare verso la città, all’ingresso della quale si trova il Ponte di San Francesco. Il ponte non ha nulla a che vedere in modo diretto con la figura del santo di Assisi, ma prende il nome dal vicino convento. Venne realizzato nel XIV secolo per celebrare la vittoria del 1356 sui tiburtini, per volontà dell’abate Ademaro. Si tratta di una struttura ad una sola arcata, dalla singolare curvatura, costruita con cardellino, una pietra locale che caratterizza gran parte degli edifici antichi di quest’area.

Subiaco, Ponte di San Francesco

Arrivati alla soglia del paese, probabilmente un po’ affaticati, ci si sente sormontati dalla maestosa Rocca Abazziale. Doveva essere la stessa sensazione che provavano gli antichi sublacensi, non molto inclini a farsi dominare da un potere ecclesiastico come quello esercitato dagli abati succedutisi nel corso del tempo. La Rocca, incombente sulla città a ribadire con forza la presenza di un potere centrale, è nota soprattutto per un dettaglio: fu la dimora di Vanozza Cattanei, l’amante di Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI. Fu, dunque, la culla di Cesare Borgia e di sua sorella, la dama più temuta di Roma, Lucrezia Borgia.

Rocca dei Borgia, SubiacoVista da questa prospettiva la rocca acquisisce un altro fascino e aggirarsi tra quelle stanze dà l’impressione di muoversi nei meandri leggendari e nascosti della storia. Purtroppo per noi la rocca è passata di mano in mano nel corso dei secoli: ben poco resta dell’antica dimora dell’amante papale, giacché mentre i soffitti sono stati ridipinti secondo il volere dei successivi depositari della rocca, la famiglia Colonna, i muri risultano completamente rovinati. Vi erano dipinte delle danzatrici in pose lascive, spesso con il corpo nudo, e questo tipo di decorazione non fu gradito ai Colonna che pensarono bene di coprirle con della carta da parati.

Non parlare di carta a Subiaco è praticamente impossibile: nel 1465, ormai 550 anni fa proprio veniva stampato il primo libro in Italia, da due tedeschi, e ciò avvenne proprio qui a Subiaco. A ricordare l’evento ci aiutano i due musei della carta e della stampa oltre alla grande cartaria, chiusa nel 2003. La perdita di un luogo tanto importante per l’economia e la storia della città ha stimolato l’ingegno di un gruppo di giovani imprenditori che hanno così dato avvio al Borgo dei Cartai.

IMG_9301Borgo dei Cartai, Subiaco

Lo si incontra nella zona del Mulino Carlani dove oggi si fa rafting, zona che anticamente ospitava gli Opifici, le attività produttive del borgo medievale. Non avrebbero potuto scegliere luogo migliore per realizzare questo Museo Didattico: un luogo in cui si conservano e si illustrano le pratiche per la produzione della carta, in cui sono riprodotti tutti gli strumenti necessari e in cui, soprattutto, la tradizione si rinnova attraverso laboratori didattici, aperti a tutti, durante i quali si possono apprendere le tecniche di produzione manuale della carta e di legatura. E’ un luogo del fare, in cui si può capitare del tutto per caso e trovare una delle ragazze che, con i gesti attenti di chi ama ciò che sta facendo, trasforma una pasta di cellulosa a mollo in una vasca in quello che sarà un foglio. Vale la pena fermarsi anche soltanto mezz’ora per lasciarsi affascinare.

Sito ufficiale dei monasteri benedettini

Sito del Museo Borgo dei Cartai

 

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.