Teoria dell’attaccamento di John Bowlby

Con la collaborazione e la supervisione scientifica del Centro di Psicologia e Psicoterapia “La Fenice” (Circonvallazione Trionfale 145, Roma, per informazioni clicca qui).
Rubrica a cura di Sara Fabrizi
La teoria dell’attaccamento di John Bowlby

La teoria dell’attaccamento è una teoria elaborata dallo psicologo e psicanalista John Bowlby negli anni ’50 del Novecento in seguito alle proprie osservazioni e studi riguardo il rapporto madre-figlio e l’importanza di questa relazione nello sviluppo fisico, intellettuale e comportamentale del bambino.
La teoria venne sviluppata a partire da una ricerca sui bambini che avevano perso le loro famiglie, assegnata a Bowlby dall’Organizzazione Mondiale della sanità. Nel 1951 usciva Maternal Care and Mental Health (Cure materne e sanità mentale), testo in cui venivano raccolti i risultati delle osservazioni condotte, il cui titolo sarebbe cambiato in Child Care and the growth of maternal love (Cura del bambino e crescita dell’amore materno), con un’accentuazione dell’universalità del messaggio che andava oltre la semplice sanità mentale, andando a toccare le fondamenta dello sviluppo di ciascun individuo.
Bowlby aveva studiato bambini cresciuti all’interno di istituti, arrivando a sostenere che la deprivazione materna – cioè l’allontanamento della madre o di un soggetto che ne ricoprisse il ruolo – fosse alla base di comportamenti delinquenziali, incapacità di creare relazioni, ritardi nel linguaggio…
Più tardi l’approfondimento degli studi da parte di Rutter, Mary Ainsworth e altri permise di comprendere come non è l’allontanamento in sé quello che importa, quanto il contesto e il significato che gli viene attribuito: conta il modo in cui è gestita la perdita, tanto che bambini che perdono i genitori in età infantile mostrano meno problemi di quelli che subiscono il trauma di un divorzio in cui si verifichino tensioni e litigi.
La teoria dell’attaccamento è, nella sua sostanza, una teoria spaziale: il bambino quando è vicino a chi ama (madre o soggetti affini) si sente bene, quando se ne allontana diventa ansioso, triste, angosciato. Una relazione di attaccamento si definisce attraverso tre caratteristiche: la ricerca della vicinanza ad una figura preferita, l’effetto “base sicura” e la protesta per la separazione.

La ricerca della vicinanza è tipica nei bambini che già sanno camminare e seguono ovunque la propria figura di riferimento. La distanza alla quale si sentono a proprio agio dipende da età, temperamento, storia dello sviluppo, condizioni di salute: in particolare, se ci si sente malati o deboli si innescherà il comportamento di attaccamento, quindi la ricerca di sicurezza e protezione da parte del soggetto di riferimento. L’effetto “base sicura”, espressione di Mary Ainsworth, significa che la presenza della persona cui ci si “attacca” determina una particolare atmosfera di sicurezza che consente al bambino di muoversi liberamente, giocare, esplorare.
Interessante a tal proposito il fatto che l’area entro cui il bambino si muove in tranquillità sembra essere circoscritta: oltre un certo raggio, come osservò Anderson in un suo studio condotto in un parco pubblico con madri e figli, il bambino comincia a voltarsi e guardare ansiosamente verso la madre. Infine la protesta per la separazione è concepita come la reazione “normale” all’allontanamento dai genitori: calci, pianti, urla, morsi sono i vari modi in cui si manifesta il timore di una minaccia di distacco.
L’attaccamento si sviluppa a partire dai primi istanti ed accompagna l’individuo per tutta la vita, influenzandone l’esistenza.
Non esiste, infatti, un solo stile di attaccamento cioè quello sicuro, ma vari stili che sottostanno alla categoria dell’insicuro: evitante, ambivalente, disorganizzato, che si sviluppano a partire dalla risposta del soggetto cui ci si attacca alle esigenze del bambino. Se infatti la figura di attaccamento non è sufficientemente vicina, sintonica e capace di risposte sensibili genererà un senso di paura e angoscia nel bambino: ciò sta a significare che non è sufficiente la presenza fisica del genitore né è la quantità di tempo a determinare la relazione, ma la qualità del tempo che ad essa viene dedicato.

Lo stile evitante è caratterizzato da un atteggiamento di indifferenza verso la madre: quando questa si allontana il bambino non manifesta ansia né la ricerca, ma continua a fare ciò che stava facendo. Si tratta generalmente di bambini cresciuti da genitori poco presenti e affettuosi, che sviluppano così la necessità di “bastare a sé stessi”, resi autonomi precocemente.
Lo stile ambivalente è, invece, tipico di bambini i cui genitori hanno dimostrato nei loro confronti un atteggiamento incoerente, talvolta presenti, talvolta distanti, generando in essi la sensazione di non essere amati abbastanza. Per questo sono abituati a cercare di attirare l’attenzione con pianti, strepiti, crisi di collera e ad aggrapparsi con forza ai genitori quando si ricongiungono con loro dopo la separazione.
Lo stile disorganizzato, infine, è tipico dei bambini che hanno vissuto situazioni familiari difficili (alcolismo, dipendenza da droghe, maltrattamenti e abusi) in cui i genitori invece di essere una base sicura, hanno rappresentato un pericolo. Bowlby parlò anche di cicli di privazione, sottolineando un aspetto molto rilevante: bambini che subiscono la privazione delle cure e non riescono a sviluppare un attaccamento sicuro, da adulti andranno incontro non soltanto a depressione ma anche ad una ripetizione di quanto da loro subito, avranno cioè comportamenti trascuranti e negativi nei confronti dei propri figli. L‘attaccamento, inoltre, influisce sulla scelta del partner e sulla capacità di organizzare tutta la propria vita affettiva: a partire dall’infanzia si incamerano dei modelli di rappresentazione di sé e dell’altro, applicati poi per tutto il corso della propria esistenza.
Sara Fabrizi