Civita di Bagnoregio: la città che muore

Civita di Bagnoregio: la città che muore

Viaggio alla scoperta di Civita di Bagnoregio

Col suo aspetto simile a un’isola che galleggia su un mare di nuvole, Civita di Bagnoregio merita sicuramente di essere inserita tra i borghi più belli d’Italia: con un sottilissimo lembo di terra sorretto da un ponte (pedonale) in cemento come unica via utilizzabile per raggiungere l’abitato, con il suo aspetto medievale immutato nel corso dei secoli e con una storia antichissima, la “città che muore” è sicuramente una delle mete turistiche più gettonate del viterbese.

Grazie a vari ritrovamenti archeologici sappiamo che la zona risulta abitata sin dall’epoca villanoviana (IX-VIII sec. a. C.), ma la sua importanza sembra essere cresciuta esponenzialmente quando, in seguito, vi si insediarono gli Etruschi, i quali fecero di Civita una fiorente città. Se gli Etruschi iniziarono importanti opere di contenimento dei torrenti limitrofi, è con l’arrivo dei Romani (265 a.C.) che cominciarono le vere e proprie opere di canalizzazione delle acque piovane.

La fortuna di Bagnoregio fu proprio quella di trovarsi su una delle vie romani principali ˗ la via Cassia ˗ che collegava il lago di Bolsena con il fiume Tevere. Ma questa, paradossalmente, fu anche la sua sfortuna: con il collasso dell’Impero Romano, Bagnoregio si trovò a essere facilmente soggetta alle scorrerie delle orde barbariche, finendo man mano sottomessa, tra il 410 ad il 774, ai visigoti, ai goti, ai bizantini e ai longobardi, sino a quando Carlo Magno la liberò e la consegnò alla Chiesa. Proprio a cavallo tra i secoli VIII-IX iniziò peraltro ad affermarsi il toponimo di Balneum Regis (divenuto più in là BalneoregiumBagnorea e in ultimo Bagnoregio), letteralmente il “Bagno del Re”, dalla leggenda secondo cui il sito avrebbe ospitato già dall’epoca romana una stazione termale, frequentata in seguito dal re longobardo Desiderio per curare una grave malattia.

Allora come oggi, Civita di Bagnoregio si adagia su un colle tufaceo cuneiforme a 443 metri s.l.m., stretto fra i due profondi burroni del Rio Chiaro e del Rio Torbido, sulla valle dei Calanchi, creste d’argilla esilissime e dalla forma ondulata. Come sempre il borgo deve la sua fortuna e la sua sfortuna agli stessi elementi; se la meraviglia del paesaggio è ciò che più l’ha contraddistinto, essa è anche la sua maledizione: la città che muore vede, di anno in anno, perdere sempre più consistenza e realtà.

L’intenso sfruttamento agricolo delle campagne nei pressi dei calanchi, con la sostanziale riduzione della copertura boschiva, aveva privato il terreno, già fin troppo instabile, della sua naturale “armatura”, costituita appunto dalle radici degli alberi, e il continuo fluire dei due rivoli nella sua valle, facevano già da tempo prefigurare ciò che, da lì a breve, sarebbe accaduto. La catastrofe, dunque, era ormai vicina.

Fino al XVII secolo, la città si estendeva allora su un vastissimo altopiano, di cui oggi rimangono soltanto due spezzoni. Basti pensare che il borgo possedeva ben cinque porte. Civita, che ne rappresentava il fulcro, era infatti congiunta all’attuale Bagnoregio, che al tempo non era altro che un quartiere e si chiamava Rota.

Tutto ciò scomparve nel fatidico 1695, quando un terribile terremoto provocò il franamento delle parti più esposte a valle dell’abitato di Bagnoregio, nonché dell’unica via d’accesso che univa l’abitato a Rota. E non era finita. L’abitato, ormai decisamente ristretto e in via di spopolamento, ebbe nel 1764 un vero colpo di grazia, con il crollo di altre porzioni della cittadina.

Le azioni dell’uomo, le forze della natura e il destino hanno regalato a Civita di Bagnoregio l’attuale aspetto che, ovviamente, lascia esterrefatte migliaia di turisti ogni anno: sublime borgo dal fascino medievale, isola tra le nuvole.

Ma, se ogni elemento che ha sancito la sua fortuna ha pur sempre sancito la sua disfatta, così, il suo tormento di “città che muore” è ciò che sta permettendo la rinascita di uno dei borghi più belli d’Italia: ogni anno centinaia di migliaia di persone si riversano sul quello stretto ponte per andare a respirare, seppur per pochi minuti, l’irresistibile atmosfera di uno dei borghi più vivi del Lazio.

Articolo di Michele Mattei.

Fonte immagine: Pixabay

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Redazione Nèa Polis

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