Orte sotterranea: cosa si nasconde nel sottosuolo?

Orte sotterranea: cosa si nasconde nel sottosuolo?

Viaggio nell’affascinante sottosuolo di Orte

Passando in autostrada, non si può far a meno di restare colpiti da quel paesino arroccato su uno sperone tufaceo, in quanto sovrasta ampiamente la valle del Tevere. Orte vanta una continuità di vita dalla fine dell’età del Bronzo a oggi. Nel suo centro storico è possibile apprezzare l’opera degli etruschi, le costruzioni di età romana e stili architettonici tipicamente medievali, ma è “sottoterra” la vera sorpresa. Camminando nei suoi cunicoli si percorre una linea temporale che va dall’ingegneria idraulica etrusco-romana fino al rifugio antiaereo della Seconda guerra mondiale; un viaggio culturale e archeologico, tra epoche e misteri.

Attualmente il percorso reso visitabile ha inizio dalla fontana ipogea di Piazza della Libertà, si snoda nel cuore della rupe e termina, dopo un tragitto di circa 280 m, in prossimità del cosiddetto “Arco del Vascellaro”. La fontana ipogea, mantiene in parte il suo aspetto originario, due colonnine marmoree sorreggenti una volta a crociera ne inquadrano il fronte, costituito da un archetto all’interno del quale sgorga l’acqua. La fontana è concepita come cisterna, ma probabilmente in età augustea, rappresentava il terminale dell’acquedotto che per lungo tempo ha rappresentato l’unica fonte di approvvigionamento e deposito idrico pubblico della città. Dal chiostro di piazza Fratini che rappresenta uno degli accessi al complesso ipogeo omonimo, tramite una ripida scala, si accede alla cisterna, un vano a pianta quadrata utilizzato come cantina, e da questo si diparte un’altra scalinata che permette di accedere al livello inferiore. Qui si incontra una rete di cunicoli di cui quello centrale consente di collegarsi sulla destra al condotto principale. Il cunicolo principale è stato concepito, a partire dal VI-V sec. a.C., come mezzo di recupero dell’acqua piovana infiltratasi all’interno del banco tufaceo e da trasferire alle fontane urbane. Al suo interno si conservano aperture laterali di sfogo per l’acqua, in caso di superamento dei livelli di guardia. Da una diramazione laterale del cunicolo principale si accede al pozzo di cocciopesto che non ha alcuna connessione con la funzionalità idrica di quest’ultimo. Il suo nome deriva dal materiale impermeabile con cui è rivestito, costituito da frammenti di laterizi e malta. L’ambiente è di forma circolare ed ha avuto una continuità di vita notevole che va dal I secolo a.C. fino ai tempi recenti. In età medievale è stato affiancato un pozzo “a tufelli” (costituito da pietre piramidali a base quadrata) che non ha funzionalità idrica ma quello di comune fossa granaria.

Una delle attività produttive presenti nel sottosuolo di Orte è legata allo sfruttamento della neve per la conservazione dei prodotti necessari al funzionamento dell’ospedale cittadino. Il pozzo di neve rappresenta il livello inferiore di un complesso ipogeo articolato che, ristrutturato nel 1891 come testimoniato da un’iscrizione presente in situ, rappresenta uno dei pochissimi esempi sopravvissuti di questo tipo di strutture. Successivamente si giunge alle colombaie rupestri ricavate sul ciglio superiore del pianoro tufaceo. Databile al XIII secolo, ha subito, in tempi successivi, significativi cambiamenti di destinazione d’uso con gli ambienti interni trasformati prima in laboratori tessili e successivamente in cantine. È molto importante non confondere il termine “colombaia” con “colombario”.“Colombario” è la volgarizzazione del latino columbarius, che tra il II secolo a.C. sino all’epoca cristiana, indicava la nicchia ad uso funerario ospitante una o più urne cinerarie. Per “colombaia” s’intende, invece, il luogo destinato ad allevamento del piccione ad uso alimentare, usanza molto diffusa all’epoca romana. Era costituita all’esterno da una parete di tufo liscia e verticalizzata artificialmente per impedire che gli animali tentassero di fuggire arrampicandosi; all’interno da nicchie di alloggiamento dei piccioni, scavate nel tufo e disposte su più file. Le nicchie non dovevano trovarsi all’altezza del piano pavimentale, sia per impedire ad altri animali, come ad esempio i topi, di accedere alle covate, sia per far sì che il guano si depositasse a terra e non imbrattasse i nidi posti nelle file inferiori. L’allevatore in tal modo era facilitato nella rimozione del guano stesso utilizzato poi nell’attività agricola. Inoltre le nicchie dovevano essere inclinate verso l’interno per impedire all’uovo di scivolare fuori della cella e cadere a terra. Le aperture delle celle erano dirette verso mezzogiorno, per permetterne un migliore irraggiamento solare e riscaldamento, specie nei mesi invernali. Grande attenzione era prestata anche ad un affaccio su un fiume o su un corso d’acqua al fine di garantire un approvvigionamento idrico indipendente ai volatili, in grado di uscire ed entrare per mezzo di finestre aperte sul fronte delle rupi.

Infine, in corrispondenza dell’omonimo arco e dell’ex chiesa di San Gregorio, è ubicato un ipogeo, detto ipogeo del vascellaro. L’ambiente, di pianta rettangolare ospita un palmento per la pigiatura dell’uva. Nella parete orientale un recinto murario delimita un piccolo ambiente pavimentato messo in comunicazione con una vaschetta posta a un livello inferiore e scavata interamente nel tufo. Il prodotto della pigiatura, effettuata all’interno dell’ambiente pavimentato, confluiva, con ogni probabilità, all’interno della vasca, avviando così il ciclo produttivo.

 

Articolo di Michele Mattei.

Fonte immagine: Pixabay

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Redazione Nèa Polis

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