L’ascesa della Repubblica Romana: l’arte della diplomazia

L’ascesa della Repubblica Romana: l’arte della diplomazia

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L’inizio delle mire egemoniche della Repubblica Romana si può fare risalire alla conquista della città-stato etrusca di Veio avvenuta nel 396 a.C. . Questo avvenimento è da considerarsi come la prima tappa della lotta per il possesso dell’intera penisola italiana. Tale conquista infatti, aprì la strada a Roma verso l’Etruria a Nord.

Dalla presa di Veio in poi, passando prima per le 3 guerre sannitiche nell’Italia centro-meridionale, successivamente per i conflitti con il re ellenistico Pirro dell’Epiro e fino ad arrivare ai primi confronti con la potenza cartaginese; Roma pose le basi per la sua egemonia anche all’intero bacino del Mediterraneo.

Per esempio, frutto della prima guerra punica (264-241 a.C.), fu l’istituzione della prima provincia romana composta dall’isola della Sicilia, retta da un magistrato (governatore) “cum imperio” fuori dalla cinta sacra di Roma. Indubbiamente però, senza il controllo dell’Italia e del suo bacino demografico per rifornire le sue truppe, Roma non avrebbe mai potuto diventare la capitale del mondo antico.

Dunque, per comprendere a fondo alcune delle cause principali del successo delle politiche espansionistiche romane, occorre analizzare come l’antica Roma riuscì a controllare ed utilizzare le popolazioni italiche dell’epoca. Non semplicemente come delle comunità sottomesse, ma come dei popoli alleati e confederati nella crescente Repubblica. La politica diplomatica romana infatti fu senza dubbio fondamentale ed estremamente pragmatica. Il concetto “divide et impera” fu certamente uno dei principali strumenti utilizzati dai romani, prima nella penisola italiana e poi nel resto del mondo antico. La dominazione romana in Italia, durante la fase repubblicana, infatti si articolò principalmente in 3 modalità diverse tra loro.

La prima formula fu lo status di alleanza (“socii”) tra Roma e il popolo sconfitto. La seconda fu il modello di “civitas sine suffragio” cioè territori annessi al dominio di Roma in cui però le varie città mantengono le loro tradizionali amministrazioni civiche e sono impegnate però a versare tributi e a fornire impegno militare su richiesta romana, città come Capua e Formia ebbero per esempio questo modello di controllo.

Infine il terzo status di controllo fu quello della “colonia latina”, questa modalità fu usata per i territori di più recente conquista e di maggiore difficoltà; tale status prevedeva la fondazione di colonie composte da cittadini romani e latini al di fuori però del “Latium vetus” (l’antico Lazio romano). Città come Paestum e Brindisini nacquero come colonie latine. Elemento caratteristico e fortemente legato alla politica di conquista romana fu il rito del “trionfo”, dedicato al generale vittorioso che avesse riportato grandi benefici allo stato con la sua vittoria.

Il trionfo, concesso solo dal Senato, in seguito riguardò sempre di più le più alte personalità di Roma e infine anche i vari imperatori. Nei vari trionfi celebrati veniva fatto sfilare per le strade in festa di Roma il bottino di guerra, l’esercito e il generale vittorioso con indosso la corona d’alloro e in mano uno scettro d’avorio adornato con un’aquila dorata.

Il condottiero, con la carica di proconsole della città, per tutto il giorno del trionfo sfilava fino al Campidoglio su un carro decorato e trainato da 4 cavalli bianchi, con affianco uno schiavo che aveva l’obbligo di ricordargli per tutto il tragitto: “homine te memento” (ricordati che sei un uomo).

Aldo Doninelli

 

 

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Redazione Nèa Polis

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