A passeggio nell’Ottocento: il Museo Napoleonico

A passeggio nell’Ottocento: il Museo Napoleonico

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Di fronte alla maestà del Palazzo della Corte di Cassazione, dall’altro lato del Tevere, si nasconde una piccola perla, un luogo poco frequentato, le cui stanze sono pervase da un silenzio che ci permette di addentrarci nelle pieghe intime della storia ottocentesca di Roma: il Museo Napoleonico.

Non è un luogo qualunque quello che accoglie questa interessante e varia collezione, ma un palazzo che si lega a doppio filo alla sua storia. Stiamo entrando, infatti, a casa del conte Giuseppe Primoli.
Il suo cognome ci suona sconosciuto, ma è sufficiente risalire l’albero genealogico del conte di due generazioni per trovare ben due Bonaparte, suoi nonni e tra di loro cugini, Carlo Luciano e Zenaide, figli dei fratelli di Napoleone I. Siamo dunque nella dimora che ospitò vari consanguinei dell’imperatore francese, nelle stanze in cui si consumò la vita privata e mondana di una famiglia che segnò profondamente i destini dell’Italia e dell’Europa.

Il percorso si snoda lungo dodici sale tematiche dedicate alla ricostruzione di particolari periodi o a figure di rilievo. Attraversata la porta di vetro che sembra chiudere come dentro una teca i suoi tesori, approdiamo alle prime due sale, separate tra di loro da una balaustra in marmo e idealmente collegate a creare un unico grande ambiente dedicato al Primo Impero: il periodo d’oro della potenza napoleonica trova il suo specchio ufficiale nei grandi ritratti di rappresentanza.Napoleone sul campo di battaglia di WagramTroviamo così un Napoleone in posa eroica in sella ad un bianco cavallo imbizzarrito, rivestito della divisa di colonnello dei Cacciatori a cavallo e con le insegne del suo valore militare ben visibili sul petto, la Legion d’onore e la Croce di Ferro. Alle sue spalle le figure incredibilmente ridotte dei soldati non fanno che accentuare l’aura di maestà di cui è circonfusa la figura del vittorioso generale, dominante il campo di battaglia di Wagram. Dal lato opposto della sala, degna controparte del marito, è rappresentata l’imperatrice Giuseppina in interno, vicino ad un gran vaso di fiori allusivo forse alla sua grande passione per la botanica. A queste opere celebrative si accostano due altri tipi di raffigurazioni: da un lato troviamo le miniature su smalto, una vera e propria galleria di fedelissimi ritratti tascabili che venivano donati ai propri cari quando ce se ne separava; dall’altro i minuti e dettagliatissimi ritratti in cera, specchio di una delicata intimità. I Bonaparte amavano circondarsi anche di oggetti di uso comune particolarmente curiosi e raffinati che ci imperatrice Giuseppina, museo napoleonicorivelano qualche dettaglio della storia contemporanea: un diadema con collana in ferro, materiale vile utilizzato per i gioielli in un periodo in cui la carenza di oro costringeva le principesse a orientare diversamente i propri gusti;un braccialetto con pietre incastonate, apparentemente consueto nel proprio splendore, che nasconde il messaggio cifrato del nome della proprietaria (Lucraetia) attraverso l‘acrostico composto dalle lettere iniziali delle pietre preziose; una tabacchiera sul cui coperchio sono battuti, come ornamento prezioso, tre aurei; un orologio con colibrì meccanico che doveva allietare il passare delle ore delle fanciulle di casa.

Dalle pareti azzurre di questa sala si trascorre a quelle damascate della stanza dedicata al Secondo Impero, piccola ma suggestiva per la presenza dell’arredamento proveniente dalla residenza parigina di Matilde Bonaparte, la bellissima cugina di Napoleone III, destinata a lui in matrimonio ma poi sposata al violento conte russo Anatolio Demidoff dal quale fuggì per tornare a Parigi. Qui animò un importante salotto letterario: queste poltrone, dunque, potrebbero aver visto passare su di sé personaggi come Theophile Gautier, grande maestro di Baudelaire, il romanziere Proust e Renan. I grandi ritratti di Napoleone III e della consorte incombono dalle pareti, dominando lo spazio che ricorda un dominio autoritario breve (1852-1870), caratterizzato da un grande fermento artistico ma anche da un’estrema fragilità politica e militare che portò alla celebre sconfitta di Sedan.

Dopo la magnificenza della storia ufficiale con i suoi fasti e le sue ombre ci avviamo a conoscere da vicino un Re di Roma che non rientra nella famosa lista che impariamo a scuola: Napoleone II, figlio di Napoleone e della seconda moglie Maria Luisa d’Asburgo, destinato dall’ambizioso padre a continuare il suo sogno imperiale e insignito dell’altisonante titolo non appena aprì gli occhi alla luce del mondo, accompagnato dal suono di centoun colpi di cannone celebranti la nascita dell’erede maschio. L’entusiasmo per l’avvento del fanciullo è dimostrato dai grandi preparativi per il battesimo, avvenuto nella cattedrale di Notre Dame e celebrato con una medaglia in oro nella quale si raffigura il padre nell’atto di sollevare il bambino per presentarlo al suo popolo, rimarcando la dignità imperiale di cui era rivestito.

Napoleone II però non vide mai la città di cui avrebbe dovuto essere il re: la drammatica sconfitta del padre e il suo confino a Sant’Elena segnano l’esistenza del giovane, allontanato dalla Francia dalla madre che lo fa crescere presso la corte austriaca, in un ambiente fortemente anti-napoleonico che, tuttavia, non forgia nel ragazzo sentimenti ostili nei confronti del padre. Egli lo venerava, piuttosto, come dimostra la presenza in una delle teche della sciabola turca presa da Napoleone in Egitto e la sua abitudine di circondarsi di oggetti simbolo della memoria paterna. In questa stanza troviamo anche un cimelio che Napoleone I avrebbe voluto lasciare in eredità al figlio: una pregiata scatola contenente il jeu de l’hombre, gioco dell’uomo, il gioco di carte che permise all’imperatore decaduto di trascorrere con minor pena l’esilio di Sant’Elena e le cui regole non sono ancora state comprese dagli studiosi.

Una sala più in là nel Museo Napoleonico, dopo quella dedicata alla Repubblica Romana, ci troviamo a tu per tu con il personaggio femminile più noto della famiglia Bonaparte: Paolina. La bellissima modella di Canova, la cui statua si trova a Galleria Borghese, ci viene incontro rappresentata non tanto da ritratti che ce ne darebbero un’impressione taccuino paolina museo napoleonicosuperficiale ma dagli oggetti che accompagnarono la sua quotidianità. In una angolo un quadernino, con l’iniziale stampigliata sulla copertina, in cui la sorella di Napoleone annotava le spese dell’amministrazione domestica, sempre in eccesso rispetto al denaro disponibile, insieme ad un “sistema adottato dalla Pr Borghese per il suo vestiario dalla quale essa si ripromette di non dipartirsi”, un promemoria approntato per evitare spese eccessive per l’abbigliamento e dedicarle piuttosto alle grandi feste cui ella non rinunciò mai. L’adorazione quasi maniacale per il fratello è testimoniata da un pendente in oro contenente una ciocca di capelli di Napoleone, una vera e propria reliquia. In questa piccola sala altri due oggetti colpiscono e ci riportano all’opera di Canova: un divanetto in mogano, del tutto simile a quello sul quale la donna posò per la statua che la raffigura come Venere; il calco di un seno in gesso, probabilmente una prova necessaria a prendere le giuste misure.

Il Museo Napoleonico ci permette così di conoscere, sala dopo sala, una porzione significativa dei vissuti umani oltre che ufficiali di personaggi grandi e piccoli che hanno, in bene o in male, lasciato la propria firma sulle pagine della storia di Roma.

Fonte: Museo Napoleonico

Sara Fabrizi

Sara Fabrizi

Classe '92, laureata in Filologia Moderna all'Università di Roma "La Sapienza", redattrice per NéaPolis e Tutored. Gestisco due blog "Parole in viaggio" dedicato all'arte e ai luoghi d'Italia e "Storie dal cassetto", raccolta di racconti brevi soprattutto a carattere psicologico. Un mio racconto "Il battesimo del fuoco" è stato selezionato e pubblicato nell'antologia "I racconti di Cultora. Centro-sud" seconda edizione per Historica edizioni nel 2015. Sono membro fondatore dell'associazione "La parola che non muore" e responsabile dell'ufficio stampa per il Festival omonimo a Civita di Bagnoregio, inaugurato nel 2015.