“Lo scherzo” di Milan Kundera: è la vita a divertirsi con noi o ancora non ne abbiamo capito il senso?

“Lo scherzo” di Milan Kundera: è la vita  a divertirsi con noi o ancora non ne abbiamo capito il senso?

“Lo Scherzo” è la prima opera scritta da Milan Kundera. Siamo nel 1965 e c’è già molto dello stile unico e del pensiero dell’autore ceco.

Pensiamo infatti al ritmo con cui la trama avvolge il lettore e alla capacità di incrociare tra loro storie che solo apparentemente sono diverse. Per dirla col Citati «quello che non finisce di avvincerci è la fluidità: il dono supremo del narratore». Ed effettivamente impressiona come l’autore riesca, senza annoiarci, a raccontare ogni particolare delle vite dei quattro personaggi principali, fino a farceli diventare familiari, fino a farci immedesimare in ognuno di loro almeno per un pezzetto della loro vita.

Ma su tutti, due sono le colonne della narrazione: Ludvìk e Jaroslav. I due vecchi amici, che per anni vivono lontani e si ritrovano soltanto alla fine del libro, sono i destinatari degli “scherzi” amari della vita. Il primo, Ludvìk, per una cartolina giocosa mandata alla sua amata viene obbligato al servizio militare nelle file delle “giubbe nere”, ovvero le truppe dei soldati considerati pericolosi dal regime comunista. Lì rimane per ben sei anni, perdendo tutti i sogni, le speranze, gli ideali verso un partito che lo tradisce e verso una vita fatta di pochi piaceri e di pochi affetti.

Il secondo, Jaroslav, persona semplice, che tenta di trasmettere al figlio l’amore per le tradizioni e la musica popolare. Proprio dal figlio e dall’amata moglie viene ingannato ed abbandonato nel giorno più importante, la sfilata dei Re, tradizione ormai spenta che da secoli però si tramandava nel mondo moravo.

E sullo sfondo c’è proprio una Moravia già stanca della dominazione comunista (di lì a poco sarebbe partito l’impegno di Dubcek), che mostra ben definiti i suoi panorami industriali, le sue cittadine poco curate, con piccoli locali mal tenuti e un’apatia che accompagna tutti i personaggi.

Uno stile coraggioso quello di Kundera, che anticipando (o forse accompagnando) i movimenti di ribellione della sua Cecoslovacchia manda segnali molto forti contro il regime sovietico. E lo fa con tono elegante, descrivendo sullo sfondo un paese oggettivamente peggiorato rispetto ai secoli precedenti, ed attaccando le ipocrisie del partito unico dominante, presente con la sua struttura piramidale in ogni dove, dalle università, ai posti di lavoro fino ai comitati promotori delle feste popolari.

Per questo attacco il vero strumento è Jaroslav; lui così innamorato della tradizione popolare, ci descrive un mondo incantato che cozza con l’affresco del paese in crisi nel quale vive.

Ma soprattutto Kundera riflette sulla decadenza umana, ancor prima che politica ed istituzionale. E il campione diventa allora Ludvìk. Dicevamo, un uomo disincantato che sbaglia in ogni sua azione. Sbaglia nel modo in cui ama la sua prima donna, Lucie; sbaglia nel modo in cui tenta di vendicarsi contro Zemanek, il vecchio amico universitario che lo condannò all’espulsione dal partito. Esce sconfitto da ogni situazione rimanendo sempre solo con se stesso, incapace di programmare ogni azione successiva. Come se non ci fosse un domani, come se non ci fosse speranza di vedere in futuro un mondo migliore. E allora, alla fine, tenta un disperato tentativo: si riavvicina a Jaroslav, l’amico più puro e semplice cha abbia mai avuto. Torna a suonare insieme a lui nelle orchestrine di paese e a rivivere la semplicità di un mondo rurale, arcaico, sfocato. Ma proprio quando sembrava liberarsi delle tossine dei suoi fallimenti, ecco che anche Jaro lo abbandona, colpito da un infarto.

Insomma, un Kundera filosofo che già plasma il cuore dei suoi pensieri, i quali saranno poi eccezionalmente approfonditi nel capolavoro “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Crisi di valori, ideali ipocriti ed effimeri, crisi culturale di un’Europa uscita spenta dalla Seconda guerra mondiale, incapacità di reazione degli uomini che vivono di inerzia alla ricerca di poche (e leggere) gioie materiali.

Insomma, se pensiamo che l’opera è stata scritta nel 1965, impressiona pensare quanto sia attuale a distanza di 50 anni. È indubbio che da quella crisi non ci siamo più ripresi: prima l’omologazione era di regime, ora il regime che ci omologa non è istituzionale ma economico, nascosto dietro lo strapotere di multinazionali che impongono a tutto il globo lo stesso modo di pensare e di consumare.

Certo, la possibilità di ritrovare quella semplicità dorata ci sarebbe. Ma a quel punto può intervenire il Destino, che per Kundera è rappresentato dall’improvviso infarto di Jaro (l’ultimo scherzo del libro…) che lascia il lettore con l’amaro in bocca.

Un’opera d’arte questo romanzo, dal quale ripartire per riflettere e migliorare la condizione di adesso. Perchè il Destino non potrà mica essere sempre avverso…

Elio Tomassetti

Elio Tomassetti

Elio Tomassetti

Direttore della testata e giornalista dal 2010, dopo la laurea in Giurisprudenza mi sono sempre occupato di comunicazione soprattutto nei settori socio-culturali. Contatto: eliotomassetti1988@gmail.com